Di Massimo Acciai Baggiani

13
«Ehi, chi si rivede!» disse l’investigatore, venendo in soccorso dell’amico, sbiancato in volto e senza parole. «Ci stai per caso seguendo?»
Stavolta fu la ragazza a restare sorpresa all’apparire dell’uomo. Fu la donna che l’accompagnava a rispondere per lei.
«Con chi ho il piacere di parlare?» sibilò, ostile.
«Ci penso io» disse la ragazza facendosi avanti. «Io mi chiamo Linda e lei è Eleonora, mia madre.»
Linda! Pensò M. con immenso stupore nello scoprire che il nome che le aveva dato nella sua fantasia era proprio il suo. E per di più la madre si chiamava come un altro celebre personaggio poohico. L’amico, affatto sorpreso, presentò se stesso e il ragazzo, che continuava a guardare e tacere, come paralizzato, incapace di dire una sola parola.
«Dunque ci siamo visti a Bergamo e ci rivediamo qui nel bolognese…» continuò l’amico.
«… non è un caso» terminò la ragazza, con fare misterioso «ma ogni spiegazione verrà a suo tempo. In certe faccende il tempo è la chiave di tutto, non è vero?»
«Non siamo sicuri che ci piaccia essere seguito, anche se da due rappresentanti del gentil sesso, per di più carine come voi» disse l’amico galante. «Tu che ne dici?» chiese al ragazzo «Di qualcosa!»
«Ti aspetto al tavolo» rispose quest’ultimo, eclissandosi.
«Vada pure» disse la donna. «Qui siamo in un luogo pubblico e possiamo starci quanto ci pare, non vi stavamo seguendo, tranquilli, mia figlia ha uno strano senso dell’umorismo.»
«Già che ci siamo, volete unirvi a noi per cena?»
«Semmai unitevi voi a noi, visto che siamo già seduti.»
«Ah già, sì, vieni M.»
Il ragazzo si alzò malvolentieri.
«Dunque, da dove venite?» domandò l’investigatore poggiando il vassoio sul tavolo «Non sento alcun accento…»
«Mah, un po’ di qua, un po’ di là; abbiamo vissuto in posti diversi» disse Eleonora.
«E tempi diversi!» aggiunse enigmatica la ragazza, stappando una lattina di Coca-Cola.
«Che vuol dire?»
«Niente, niente… diciamo che siamo due viaggiatrici un po’ particolari.»
«Che coincidenza, pure noi!»
«Eh lo sappiamo.»
«Lo sapete? E come?»
«Beh, conoscete la teoria del multiverso?»
Quella parola fu come uno schiaffo per entrambi.
«Universi paralleli…»
«Universi ucronici per la precisione» disse Linda.
«Ehi M., hai sentito? Universi ucronici!»
Il ragazzo aveva sentito bene, ed era basito come l’amico.
«Facciamo parte di un corpo di viaggiatori interdimensionali chiamati Guardiani dell’Ucronia[1]» spiegò Eleonora «di norma combattiamo i raptor intelligenti che si insinuano nei vari universi ucronici per far danni, ma a volte aiutiamo i viaggiatori inconsapevoli come il qui presente M.»
«Questa poi! Come ci avete trovati?»
«È piuttosto complicato da spiegare, anche perché la comparsa di M. in questa linea temporale è collegata a un altro caso che stiamo seguendo da un po’ di tempo. È la classica storia lunga. Quel che conta è che possiamo rimandare M. nel suo mondo di provenienza, o fargli visitare anche altri universi dove i Pooh sono esistiti ma che sono comunque diversi da entrambi: ce n’è uno ad esempio in cui i Pooh hanno dato vita a una sorta di religione dove i testi delle canzoni sono venerati come brani del Vangelo, e la gente vive come dentro una canzone. Lo abbiamo visitato qualche giorno fa…»
«Dunque potete spostarvi a piacimento tra i mondi!?»
«Possiamo anche muoverci nel tempo, creando noi stessi mondi divergenti, a nostro piacimento.»
«Quindi chi ha creato questo mondo ucronico?» domandò l’investigatore, sempre più sorpreso.
«Non lo sappiamo ancora con sicurezza, ci stiamo lavorando. Come avrà capito, non siamo gli unici in grado di usare i Portali Temporali, anzi non li abbiamo nemmeno costruiti noi, anche se li usiamo molto spesso. Qui in Italia il più vicino è a Isernia, in Molise, in una grotta…»
«Mamma!» protestò la ragazza. «Non hanno bisogno di sapere proprio tutto, non sappiamo neanche se M. vuole tornare al suo mondo anziché vivere in questo in cui sta dando vita al suo gruppo musicale preferito!»
«Dunque sapete anche questo!»
«Sì, e molto altro.»
«A questo punto la domanda è: volete aiutarci oppure ostacolarci?»
«Diciamo che vi abbiamo già aiutato con Facchinetti e Canzian, in modi sottili che non vi stiamo a spiegare. Non vi pare strano che abbiano subito accettato di unirsi al vostro folle progetto?»
«In effetti sì.»
«Bene, a questo punto la scelta è di M. Cosa vuoi fare? Vuoi andare avanti o tornare indietro?»
L’animo del ragazzo era diviso. Cosa voleva davvero? Certo, in quel mondo avrebbe creato lui stesso la leggenda dei Pooh, ma l’esito era incerto e avrebbe dovuto faticare non poco. D’altra parte quell’avventura lo aveva ormai preso e non voleva rinunciare a Linda proprio adesso che si erano presentati, anche se fino a quel momento non le aveva ancora rivolto la parola.
In fondo non ci mise molto a prendere la decisione della sua vita.
«Voglio creare i Pooh “divergenti”» disse, guardando negli occhi la ragazza.
14
Dodi abitava in una villetta vicino a Casalecchio di Reno, dove si era trasferito dalla natia Bologna, proprio a due passi dall’omonimo fiume dove si riflettevano le stelle di una notte serena e calda di primavera. I due amici suonarono il campanello e furono accolti da odori mangerecci, segno che i proprietari si erano alzati da poco da tavola. Erano le otto passate.
Prima, all’autogrill, i quattro avevano discusso se presentarsi tutti insieme da Battaglia, poi avevano deciso di non invadergli la casa e comunque lo avrebbero aiutato in uno di quei modi misteriosi che non avevano spiegato bene, “a distanza”.
L’uomo che venne ad aprire la porta era vicino alla trentina ma appariva come un ragazzo; li accolse con un sorriso e li invitò a entrare. L’ingresso era piccolo ma accogliente, con molte chitarre appese al muro, di varie forme e colore.
La cassetta conteneva un solo brano scritto da Dodi; M. aveva scelto non il primo brano scritto per i Pooh nel ‘72, Io in una storia, ma un brano molto più recente che era rimasto nel cuore del ragazzo: Mai dire mai.
“Capita che tu stai male e dici ‘Non mi svegliate mai più’, riapri gli occhi e c’è tutto il sole, sai quel che vuoi e vuoi quello che sai…”
Quelle parole di Negrini lo avevano sempre incoraggiato nei momenti più bui, quando avrebbe voluto dormire “due o trecento anni, Giusto per capir di più e placar gli affanni”, per dirla con Battisti.
Dodi ascoltò con lo stesso attento stupore dei suoi colleghi musicisti, quindi chiese di riascoltare di nuovo il brano.
«Lo ha scritto lei, non è vero?» domandò l’investigatore.
«No, ma riconosco lo stile; è un brano molto bello, con un bel riff di chitarra elettrica, poi anche il testo non è affatto male.»
Certo, pensò M., non era mica detto che i Pooh di questa linea temporale – come l’aveva chiamata Linda – avessero scritto proprio tutti i brani che aveva scelto lui come compilation rappresentativa. Comunque lo stile non è acqua, e quello dei singoli componenti dei Pooh era perfettamente riconoscibile.
«Ci aiuterà dunque a mettere su la band?» domandò infine M., risvegliando il chitarrista dallo stato di trance in cui lo aveva gettato quella canzone.
«Sì, vi aiuterò. Sono proprio curioso di conoscere quegli altri tre. Loro hanno già accettato, giusto?»
«Ci manca solo Stefano D’Orazio, il batterista e l’altro autore dei testi. Lui lo incontreremo a Roma il prossimo fine settimana» rispose l’investigatore, prendendo la cassetta che Dodi gli stava restituendo.
«Sapete, vengo da una famiglia di musicisti» disse Dodi «quanti ricordi! Da ragazzino suonavo la fisarmonica per mia nonna malata e lì ho percepito chiaramente che volevo fare il musicista, anche se poi la vita…»
«“… Ti toglie tante idee, tanta forza…”» citò M., a memoria.
«Ma adesso mi avete ridato una speranza, grazie ragazzi.»
15
La settimana a scuola trascorse banale; dopo tante avventure era dura ritornare su quello stupido banco, aveva imparato cose molto più importanti in un fine settimana con l’amico. Fu interrogato a ragioneria («La ragioneria non è per i poeti!» gli aveva detto la prof, commentando il suo risultato scadente) e affrontò una verifica sui Promessi Sposi, quella andata bene.
La sera rileggeva i suoi appunti sui testi di Valerio e Stefano, domandandosi fino a che punto li ricordasse davvero a memoria. Si stava forse ingannando? Ci aveva messo del suo? Non poteva saperlo con certezza matematica.
Rivide l’amico il sabato successivo. Passò con la sua Renault nel primo pomeriggio e insieme imboccarono l’A1 verso la Capitale, per incontrare l’ultimo componente, Stefano D’Orazio, che aveva già passato la trentina: il manager dei Pooh.
Era forse il passaggio più delicato del piano: lui non aveva musiche composte per il gruppo ma solo testi. Nella cassetta avevano messo il primo testo scritto, Eleonora, mia madre, del ’75 – l’anno in cui era nato M. Era l’ultimo brano della compilation.
Se il fine settimana precedente avevano avuto la benedizione del bel tempo, quel sabato avevano incontrato un brutto temporale e scrosci d’acqua che rendevano difficoltosa la guida anche a un esperto come l’investigatore. Il viaggio fu lunghissimo, interminabile, e nessuno dei due aveva molta voglia di parlare. La temperatura era scesa notevolmente. Per il pernottamento avevano scelto un albergo a due stelle piuttosto periferico, dove l’amico investigatore aveva alloggiato tempo addietro durante un’indagine. Passarono di lì per lasciare i bagagli e dirigersi poi verso il punto d’incontro col batterista.
Linda ed Eleonora avevano preso anche loro una camera nello stesso albergo, ma stavolta i due amici non si sorpresero; erano stati anzi loro ad indicare quell’hotel. M. sentiva che, prima della conclusione di quella storia, madre e figlia avrebbero avuto una parte importante e sorprendente.
Stefano viveva in un appartamento a Torpignattara, quartiere periferico vicino alla via Casilina. Il palazzo era intonacato di rosa e c’erano molti negozi etnici nei dintorni. L’ascensore li portò rapidamente al quinto piano dove trovarono un portone socchiuso da cui spuntavano un paio di vivaci occhi castani sotto a un cesto di capelli ricci.
«Salve viaggiatori della notte» li salutò «che tempo da lupi, eh?»
Li fece sedere in salotto e offrì loro un bicchiere di vino rosso, rifiutato garbatamente da M., astemio.
«Siamo interessati alla sua carriera di scrittore e di regista» disse l’investigatore «ma ancora di più siamo interessati al campo, diciamo, musicale…»
Il sorriso sul volto dell’uomo si spense, come se fosse stato tirato fuori un argomento tabù.
«Forse avete sbagliato Stefano D’Orazio» disse «se cercavate quello dei Vernice…»
M. sorrise. Non conosceva l’omonimo a cui si riferiva il batterista, ma in quel mondo alternativo probabilmente c’erano altre differenze nella musica pop italiana oltre all’assenza dei Pooh, artisti nuovi che ne avevano preso il posto.
«No, nessun errore, sappiamo che lei è stato un musicista, ha suonato in vari gruppi prima di entrare nel mondo del cinema e della letteratura.»
Stefano li guardò sorpreso.
«Sì, è vero, quando facevo la comparsa nei film ho anche fatto lavorare molto le bacchette…»
«… e non solo quelle. Lei è anche bravo con le parole, e non intendo con i romanzi: lei ha scritto dei testi molto belli.»
«E lei come fa a saperlo?»
«Sappiamo molte cose» rispose l’investigatore, poi, rivolto a M. «Vuoi spiegargli la faccenda?»
M. ripeté per la quarta e ultima volta il copione ormai consolidato, ricevendo più o meno la stessa reazione di sorpresa e incredulità iniziale, seguita da estremo interesse. Stavolta l’attenzione si concentrò sul testo di Eleonora, mia madre.
«Ragazzi, non ci crederete, ma ho scritto un testo quasi identico e la cosa incredibile è che non l’ho mai mostrato a nessuno!»
«Lo sappiamo, lo sappiamo.»
«Quindi, se ho ben capito, nell’universo da dove dite di venire io scrivo testi in coppia con queste altre tre persone che io non conosco in questo universo…»
«No, solo io vengo da un altro universo divergente» precisò M. «Il mio amico ne sa quanto lei riguardo ai Pooh, sono stato io a convincerlo, come spero…»
«… di convincere me? Beh, sono impressionato ma vorrei ulteriori prove!»
M. fece mente locale, poi declamò: «“La ragazza con gli occhi di sole cominciava ogni giorno la vita su quel treno di folla e di fumo che dal mare portava in città…”»
«“… Tra i giornali malati di noia la guardavo guardare il mattino con la fronte sul vetro veloce che sfiorava le case del sud.”» continuò Stefano, emozionato. «È una delle mie poesie più belle, dite che c’è anche la musica?»
«Certamente, una melodia molto dolce» rispose M., rammaricandosi di non avere incluso anche quella canzone nella compilation di Tommaso «ma non mi chieda di cantarla che sono stonatissimo!»
«Bene, mi avete incuriosito. Quando possiamo incontrare quegli altri tre?»
M. e l’amico si guardarono in faccia, poi rispose M.: «Pensavamo il prossimo fine settimana, sabato 31, a Casalecchio di Reno, nel bolognese, se possibile.»
«Beh, non ho impegni non rimandabili.»
16
Il poker d’assi era al completo, i due amici potevano dirsi soddisfatti, ma il lavoro era tutt’altro che finito. La settimana seguente parve infinita a M., di nuovo a scuola tra partite doppie e parafrasi dantesche. Nessuno dei suoi compagni sospettava nulla, e ciò lo divertiva molto. Se avessero saputo…
Un giorno M., uscendo da scuola, vide Linda che lo aspettava all’angolo, davanti all’edicola. Pioveva anche quel primo pomeriggio, ma non così forte come durante la trasferta a Roma. Il ragazzo si avviò verso lo scooter, allucchettato poco distante dal portone dell’edificio, come per fuggire, tuttavia la ragazza lo arpionò prima che potesse raggiungerlo.
«Ehi, dove fuggi!? Non ti mangio mica! Ho bisogno di parlare con te a quattrocchi. Andiamo a mangiare qualcosa in quel bar, così magari smette di piovere.»
M. non trovò le parole per ribattere, così si lasciò trascinare dalla ragazza. Il bar era affollato di studenti della vicina università, ma riuscirono a trovare comunque un tavolo libero in mezzo al caos.
«Questa cosa che tu scappi e io ti inseguo è piuttosto ridicola, non trovi?» commentò la ragazza. M. annuì con la testa.
«Ho capito che tu con le ragazze non ci parli, ma non potresti fare un’eccezione per me? Voglio subito mettere in chiaro le cose: tu mi piaci e io piaccio a te, l’ho capito subito da come mi guardavi in quell’ostello a Bergamo. Non siamo più bambini, tu che problema hai?»
Il ragazzo non riusciva a guardarla negli occhi, fissi sul piatto dove spiccava un tramezzino ancora intonso.
«Capisco che metterti con me non sarebbe così facile, in fondo sono una Guardiana dell’Ucronia, come mia mamma, e oggi sono qui, domani là, ma potremo trovare una soluzione.»
M. alzò gli occhi.
«Davvero sei in grado di viaggiare nel tempo?» le domandò infine. Quelle parole, le prime che rivolgeva a una sua coetanea, gli erano costate uno sforzo titanico. Pure maggiore era la curiosità per quella facoltà che andava al di là di ogni sua fantasia, ed era invece realtà. Le credeva. Sì, stava dicendo la verità, non aveva alcun dubbio, e non solo per quelle curiose coincidenze. Qualcosa dentro di lui glielo diceva, ma un’altra parte del suo cervello richiedeva una prova.
«Puoi portarmi con te?» continuò a domandarle, senza darle il tempo di rispondere alla prima domanda.
«Eh, il portale temporale, come dicevamo, si trova in una grotta nascosta tra le montagne molisane. Potremmo farci una visitina, se il tuo amico è d’accordo, quando sarà finito il vostro progetto di mettere insieme i Pooh. A quel punto anche noi dovremo tornare nel nostro tempo…»
«Non è questo?»
«Per curiosità, sai in che anno sono nata?»
«Nel ’75?»
«No, sono una millennial, sono nata all’epoca della pandemia di Covid-19, nel 2020, tra trent’anni insomma.»
«Covid-19? Pandemia?»
«Lascia perdere, sono stati anni bui, tra la pandemia e la guerra…»
«Guerra?»
«Ho detto lascia perdere, non c’è bisogno di parlarne, non ora almeno. Ti piacerebbe però visitare un futuro ancora più remoto? Come sarà il mondo nel 2030 o nel 2035?»
«Scommetto che tu e tua madre lo sapete.»
Ora che si era sbloccato, M. non riusciva più a stare zitto (“c’è chi è stato zitto per tutta la vita, e poi quando parla chi lo ferma più” pensò tra sé, citando un testo di Valerio).
«Nel 2030 ci saranno ancora i Pooh?» domandò il ragazzo.
«Non tutti e non come gruppo; si scioglieranno nel 2016, dopo cinquant’anni di carriera. Questo nella linea temporale da cui provieni. In un’altra linea temporale hanno continuato a suonare anche dopo, ma senza Negrini e D’Orazio…»
«Sono morti? E quando?»
«Negrini nel 2013, D’Orazio invece… beh, la pandemia.»
«Ma avvertendoli prima…»
«Alla morte non si sfugge» replicò enigmatica Linda «sai la storia del soldato che corse tutta la notte verso la Capitale e qui vi trovò la Nera Signora che lo aspettava?»
«Sì, c’è anche una canzone, Samarcanda.»
«Ecco, puoi sfuggire una, due, tre volte, ma prima o poi ti trova. L’immortalità fisica e solo fantasia. Rimane l’immortalità data dalla fama, e in questo i nostri Pooh ci sono riusciti, gli hanno anche intitolato un lungomare. Nel 2035 avranno dei monumenti.»
«Mi parlavi di altri universi paralleli in cui i Pooh esistono, ma diversi da come li conosco io…»
«Sì, i Pooh divergenti sono infiniti. C’è perfino un universo con cinque “orsacchiotti”, dove Riccardo Fogli non se n’è mai andato, e un altro con Negrini al posto di D’Orazio. Hanno un repertorio un po’ diverso…»
«Mi piacerebbe sentirli!»
«Puoi.»
«Davvero?»
«Sì, e io posso?»
«Cosa?»
«Questo.» La ragazza si sporse verso di lui e lo baciò sulla bocca.
[continua]
[1] Si vedano i romanzi della serie di Jacopo Flammer scritti da Carlo Menzinger: Jacopo Flammer e il Popolo delle Amigdale (Liberodiscrivere, 2010), seguito da Jacopo Flammer nella terra dei suricati (Lulu, 2013).