Di Massimo Acciai Baggiani
Lo stile di Paolo Cammilli è inconfondibile: le sue frequenti buffe similitudini, i suoi personaggi profondamente umani, le sue trame ricche, le contraddizioni dei sentimenti, le storie di sesso e vendette. Oggi voglio parlarti, caro lettore, del suo romanzo di esordio, Maledetta primavera, edito nel 2012 dalla sua etichetta editoriale Porto Seguro (dove svolgevo attività di editor, prima della quarantena da Covid-19), e poi ripubblicato da Newton & Compton nel 2014. Un romanzo che è un po’ un giallo, un po’ un thriller, ma soprattutto love story, e molto altro.
Come nel suo romanzo successivo, Io non sarò come voi (Sperling Kupfer, 2015), più maturo, in cui tra l’altro compare il protagonista Fabrizio Montagnèr in un cammeo, Paolo ci presenta una vicenda torbida in cui si intrecciano le storie private di un gran numero di personaggi. Lo sfondo è Settimo Naviglio, un immaginario paesino di circa tremila abitanti, situato nella provincia milanese; l’autore ce ne dà una efficace descrizione in uno dei capitoli iniziali: è un luogo noioso, dove «le cose non accadono»[1], dove non è mai nato un solo personaggio famoso, dove «d’inverno fa un freddo boia ed è tutto grigio. È grigio il cielo, sono grigi i palazzi, è grigio l’asfalto e sono grigi i campi con l’erba morta. Pure il verde sembra grigio. Quando c’è il sole è ancora peggio, con quei raggi pallidi che sembrano frecce di ghiaccio. Se invece arriva la giornata di nebbia, la situazione migliora un pochino. Viene a crearsi una certa atmosfera, un po’ di magia, e non si vede più niente. Che forse è meglio. Con la primavera cambia tutto, ma da un po’ di tempo a questa parte la stagione dei mandorli in fiore dura sempre meno. Arriva subito l’estate e quel caldo che addormenta tutto. Se non hai in casa l’aria condizionata o un ventilatore con le pale di un elicottero Apache, ti conviene telare e passare la giornata al fresco in un qualche centro commerciale.» (riporto uno stralcio della descrizione di Settimo Naviglio perché questo brano mi è piaciuto particolarmente e mi pare rappresentativo del Cammilli più poetico e malinconico).
Su questo sfondo provinciale si muovono, come dicevamo, molti soggetti. I protagonisti però sono due – perché ci sono sempre due protagonisti nei romanzi di Paolo: uno maschile e uno femminile –, Fabrizio Montagnèr e Carlotta “Totta” Magonio. Il primo è un P.R. trentacinquenne, la seconda è una ragazza dolce e orgogliosa che frequenta persone non proprio limpide (come la sua “amica” Ginevra): i due si conoscono su Facebook, da una parte Montagnèr e dall’altra le due amichette che condividono lo stesso profilo farlocco. Già sappiamo come andrà a finire: il nostro “eroe” si innamorerà della sfuggente Totta e quando sarà infine riuscito a conquistarla farà una delle sue perché è un «cazzone, e i cazzoni fanno le cazzate»[2]. Di cosa si tratta? Di una cosa banalissima: il Montagnèr va a letto proprio con l’amica di Carlotta, la spregiudicata Ginevra, da cui viene sedotto.
Intorno a questa storia di corna ruota la parte più giallistica del libro, con un tentativo di omicidio che si ricollega a un vecchio delitto, per risolvere il quale interviene ad un certo punto una sorta di parodia di Dylan Dog, l’ “investigatore dei sogni” David Cramp; un personaggio che si è guadagnato le mie simpatie. Il fattaccio rivitalizza il sonnacchioso paese, perché «in un luogo in cui la vita di tutti i giorni è qualcosa di molto vicino a una disgrazia, una disgrazia somiglia molto alla vita»[3]. Ovviamente non spoilerò la soluzione di questo piccolo mistero di provincia – che comunque conferma la bravura del Cammilli nelle scene di suspense. Non sono un grande appassionato di romanzi polizieschi, ma devo dire che a un certo punto le indagini hanno preso anche me, anche se non sarei mai arrivato alla soluzione. Tra l’altro, come mi ha fatto notare l’autore, la vicenda ha più piani di lettura e un forte legame “mascherato” con fatti di cronaca reali: sotto i nomi dei personaggi si celano (spesso sotto forma di calembours) persone famose. Al lettore più accorto scoprire quali.
Ma la vicenda “gialla” è secondo me secondaria rispetto al tormentato rapporto tra Fabrizio e Totta. I personaggi di Paolo hanno sempre una certa “ambiguità”, una contraddizione insanabile, spesso agiscono sotto effetto di alcolici, mancano di lucidità e di una forte volontà: perciò anche in questo romanzo non ci sono figure del tutto positive o del tutto negative, se non nelle scelte finali. Carlotta è un misto di dolcezza e crudeltà, Fabrizio sarebbe un bravo ragazzo, “innamorato”, ma, anche se soltanto in un’occasione, risulterà infedele. È la sua natura, non può farci nulla, come lo scorpione della famosa storiella che vede per protagonista anche una rana – non a caso citata dal Cammilli (e citata anche in una canzone degli 883[4]).
Qui apro una parentesi personale: per me il vero amore non può essere mai infedele, in quanto se si ha a cuore la felicità dell’amata/o non si farà mai nulla per farla/o soffrire; il sesso non avrà alcun potere sul cuore (ma forse la penso così perché sono un sognatore e per me il sesso è sempre stato secondario in un rapporto). Il sentimento che Francesco prova per Totta secondo me non è dunque vero amore, anche se lui – una volta resosi conto della «cazzata» (che cercherà dapprima di nascondere), una volta scoperto farà di tutto per farsi perdonare quell’unica volta che ha ceduto agli istinti. Ma sa che «si può perdonare ma non dimenticare»[5] e che Carlotta non gliela farà passare liscia tanto facilmente: se lo dovrà sudare, e molto. Alla fine il sospirato “perdono” arriva, in fondo lei era davvero “innamorata” (anche se pure lei aveva avuto una storiella vacanziera) ma Carlotta pretenderà una giusta umiliazione e comunque dichiarerà che non potrà mai più fidarsi e che pure lei “si farà i cazzi suoi”. Indietro non si torna, quando ci sono le corna (ahah mi è venuta la rima!), ed è giusto così.
Firenze, 28 aprile 2020
Bibliografia
Cammilli P., Maledetta primavera, Firenze, Porto Seguro, 2012.
Note
[1] Cammilli P., Maledetta primavera, Firenze, Porto Seguro, 2012, p. 44.
[2] Ibidem, p. 348.
[3] Ibidem, p. 184.
[4] La rana e lo scorpione, nell’album Grazie mille (1999): «schiena e portami sull’altra sponda”- La rana rispose: – “Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!” -“Per quale motivo dovrei farlo” – incalzò lo scorpione – “Se ti pungo tu muori e io annego!”- La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell’obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua. A metà del tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all’insano ospite il perché del folle gesto. -“Perché sono uno scorpione” – rispose lui.»
[5] Ibidem, p. 384.