Cinque visioni di Ulisse

Di Massimo Acciai Baggiani

ulisseIl mito di Ulisse da millenni fa versare fiumi di inchiostro in tutto il mondo. Da quando Omero (o chiunque sia il vero autore, o autori, dei poemi a lui attribuiti) ha messo in versi questa straordinaria storia, tutta la letteratura occidentale si è confrontata con questo personaggio: ogni scrittore e poeta che ha fatto i conti con Ulisse ha rielaborato a modo il mito, quindi si può dire che le visioni dell’Itacese sono molteplici, declinate in innumerevoli scritti. In un libro che ho letto di recente[1], dono dell’amica Clara Vella, sono riportate quattro di queste “visioni”: quella originale di Omero, quella medievale di Dante e quelle ottocentesche di Tennyson e Giovanni Pascoli. Eterno Ulisse nasce da una conferenza dell’ANILS[2] tenutasi a Firenze un paio di settimane prima del lockdown[3]; quattro i relatori (Fabrizio Catania, Ana López Rico, Massimo Seriacopi, Clara Vella) hanno riportato il punto di vista di altrettanti gigante della letteratura occidentale.

Catania nel suo capitolo ha sottolineato il carattere della “molteplicità”, attraverso il prefisso greco poly (molto) che compare negli aggettivi usati da Omero per definire il suo eroe: polymetis (“dalla molta astuzia”), polytlas (“che molto sopporta con pazienza”), eccetera, fornendo esempi per ciascuno di essi. L’Ulisse omerico è l’eroe che unisce la forza e il coraggio con l’intelligenza: perciò può battere avversari più forti di lui (come Polifemo), considerando tutte le possibili soluzioni al problema e scegliendo quella più adeguata.

L’Ulisse dantesco invece è molto diverso. Il noto dantista prof. Seriacopi ce lo spiega bene nel suo capitolo. L’astuzia se non impiegata per scopi alti, in accordo con gli insegnamenti divini, non solo non è positiva, ma condurrà inevitabilmente alla dannazione. Ulisse, ricordiamolo, è collocato da Dante all’inferno tra i fraudolenti, e la sua morte è causata dalla sua stessa sete di conoscenza: ma non della conoscenza “giusta”. L’Itacese ricercava quella proibita, che non serve alla salvezza dell’anima. L’intelligenza se usata in modo distorto è condannabile. Piccola parentesi personale: Seriacopi cita un altro grande dantista, nonché poeta, scomparso tragicamente: Massimiliano Chiamenti[4], di cui sono stato amico molti anni fa.

Per Alfred Tennyson, il grande poeta inglese paladino del romanticismo contro il conformismo e l’industrializzazione selvaggia della sua terra, che vive il dissidio tra fede e scienza tipico del XIX secolo, il peregrinare di Ulisse è simbolo dell’Uomo in cerca di se stesso e dei grandi misteri della vita. «Novello Faust», simbolo della volontà di lottare e cercare la verità, è un personaggio sicuramente positivo, molto lontano dalla condanna dantesca, come sottolinea la Vella.

Infine l’Ulisse pascoliano, di cui ci parla López Rico, ricalca l’autobiografia del grande poeta italiano del decadentismo. Pascoli era intriso di cultura greca, conosceva bene il contesto culturale, e coglie l’aspetto doloroso dell’eroe antico nel suo lungo poema L’ultimo viaggio, che allude all’ultima ricerca intrapresa da Ulisse dopo il suo ritorno a Itaca, «alla scoperta dell’ambiguo confine tra il sogno e il vero». Solo dopo la morte, Ulisse, accolto di nuovo da Calipso, troverà un senso positivo, una speranza.

Il libro si chiude qui, con una corposa bibliografia. Questo mio articolo invece vorrei proseguirlo aggiungendo un’ultima visione dell’eroe dell’Odissea: quella del sottoscritto, con tutta l’umiltà del caso. Premesso che ho sempre sentito molto lontani i poemi omerici, pur con la fascinazione che sentivo da bambino per le storie fantastiche e avventurose di cui sono pregni, e soprattutto dopo aver letto i libri di Luciano De Crescenzo[5] che metteva in luce anche gli aspetti crudeli – tipici di quel contesto storico e culturale – di Ulisse e dei suoi compagni, violenti saccheggiatori e guerrieri privi di scrupoli, condivido la sete di conoscenza che invece Dante condanna. Davvero «fatti non foste a viver come bruti»[6]: tuttavia concordo col vate fiorentino sulla finalità dell’intelligenza che l’Itacese ha avuto in sorte, usata a fini discutibili. Ulisse rappresenta un po’ la ragione senza cuore: è ben impiegata quando usata per salvarsi la vita (come nel caso dello stratagemma dei montoni di Polifemo) ma quando è usata per nuocere al prossimo allora diventa un disvalore.

Nessuno degli “eroi” omerici ha orrore del sangue, e nessuno di loro trova inaccettabile uccidere gli indifesi: Ulisse non fa eccezione. Perciò il termine “eroe” non lo trovo appropriato per questi personaggi: per me l’eroe è positivo, protegge i deboli e si batte per dei valori alti, di pace e compassione, e soprattutto è capace di amore disinteressato verso tutti, perfino verso i nemici. I miei eroi sono Ludwik Zamenhof, Shakyamuni, Nichiren Daishonin e tutti i medici che hanno fatto progredire la Medicina.

Firenze, 13 luglio 2020

Bibliografia

AAVV., Eterno Ulisse. Omero, Dante, Tennyson, Pascoli, Firenze, Porto Seguro, 2020.

Note

[1] AAVV., Eterno Ulisse. Omero, Dante, Tennyson, Pascoli, Firenze, Porto Seguro, 2020.

[2] Associazione Nazionale Insegnanti di Lingue Straniere, di cui sono consigliere (nella sezione di Firenze) dal 2018, partecipando con un mio intervento anche all’ultima videoconferenza, in tempo di Covid, sull’insegnamento dell’italiano L2 (7 luglio 2020).

[3] Precisamente il 21 febbraio 2020, presso il liceo Leonardo Da Vinci.

[4] Ivi, p. 35.

[5] De Crescenzo L., Nessuno. L’Odissea raccontata ai lettori d’oggi, Milano, Mondadori, 1997.

[6] Inferno, Canto XXVI.