Considerazioni su “Stella rossa”

Di Massimo Acciai Baggiani

Di recente mi è stato consigliato, dal compagno Franco del Circolo Operaio[1], un interessante romanzo di fantascienza russa pubblicato nel 1908 da Aleksandr Bogdanov (1873-1928). Benché abbia più di un secolo, Stella Rossa (Krasnaja Zvezda), è ancora godibilissimo e fonte di riflessioni sempre attuali.

La trama è piuttosto semplice: il protagonista, Leonid (Lenni per gli amici, chiaro anagramma di Lenin), è un socialista moderato impegnato nel partito; un giorno incontra un compagno che si rivelerà un marziano sotto mentite spoglie (i marziani sono fisicamente molto simili ai terrestri, hanno soltanto gli occhi più grandi a causa della minore irradiazione solare sul loro pianeta). Questi, Menni, è un grande scienziato in missione: gli propone di accompagnarlo nel viaggio di ritorno su Marte per iniziare a instaurare relazioni tra i due pianeti – la Terra e la “stella rossa” (termine improprio visto che Marte non è una stella ma un pianeta, anche se tale viene vista ad occhio nudo da noi).

Lenni accetta all’istante, senza alcun dubbio (prima stranezza) e in breve si ritrova a bordo di un’astronave sferica che sfrutta la “materia minus”, una sorta di materia antigravitazionale che – per intenderci – “cade” verso l’alto anziché andare in basso[2]. Il lungo viaggio non è privo di pericoli, tanto che uno dei personaggi minori ci rimette le penne. Arrivati a destinazione il terrestre viene istruito su usi e costumi locali, e qui entriamo nella parte più interessante dell’opera, che si configura come un romanzo filosofico dal sapore settecentesco. Utopia o distopia? Siamo in una zona ambigua, non netta come nelle distopie novecentesche o nelle utopie precedenti. Su Marte, immaginato da Bogdanov, si è realizzato il “perfetto” socialismo: il pianeta rosso viene percepito (già ne La guerra dei mondi di H.G.Wells) come molto più antico del nostro, con un’evoluzione che ricalca in più punti quella terrestre. Anche la razza intelligente che lo popola ha avuto una storia simile, ma è andata oltre al capitalismo e allo sfruttamento che pure ha attraversato in epoche antiche; la rivoluzione socialista si è realizzata già da un paio di secoli, ma senza la violenza della storia terrestre: in altre parole la Terra è il pianeta giovane e turbolento mentre Marte il fratello maggiore più pacato:

«i due popoli sono come due fratelli. Il maggiore ha un carattere tranquillo ed equilibrato, invece il minore è violento e impetuoso. Il più piccolo spreca le proprie forze nel peggiore dei modi e commette più errori; la sua infanzia è stata dolorosa e travagliata, e ora con il passaggio alla giovinezza soffre di frequenti crisi angoscianti.»[3]

Vedremo poi che il “fratello maggiore” non sarà così saggio e perfetto…

Bogdanov entra in merito a diversi aspetti di questa strana società extraterrestre, dalla sua economia alla produzione industriale, dall’educazione alla lingua, eccetera. Mi viene da soffermarmi su questi ultimi due aspetti. La scuola marziana è molto più evoluta della nostra:

«Il fatto è che da noi lo studio non comincia mai dai libri […] Il bambino ricava le sue informazioni dalla viva osservazione della natura e dalla comunicazione attiva con altre persone. Prima che affronti un libro del genere ha già compiuto una considerevole quantità di viaggi, ha visto molteplici immagini della natura, sa riconoscere diversi tipi di piante e specie di animali, ha familiarità con l’uso del telescopio, del microscopio, della fotografia, del fonografo, ha già udito storie sul passato e dei tempi andati dai bambini più grandi, dagli insegnanti e dagli amici più vecchi.»[4]

La “Casa dei bambini” marziana ha diversi punti in comune tra l’altro con la mia visione educativa, antinozionistica e libertaria, espressa nel mio romanzo breve La nevicata (2015). Interessante anche l’accenno alla lingua marziana, in cui i nomi non variavano in base al sesso ma al tempo, concetto di difficile comprensione per il protagonista:

«nelle vostre lingue, nominando un oggetto, vi date un gran daffare a stabilire se questo sia maschile o femminile, il che, in sostanza, non è fondamentale, e per gli oggetti è addirittura strano. Più importante è la distinzione tra quelle cose che esistono, quelle che non esistono più oppure quelle che esisteranno […] quando parlate di una casa bruciata da un incendio, o di una casa in costruzione, adoperate la stessa forma cui fate riferimento per la casa in cui vivete. Non esiste forse una grande differenza in natura tra una persona vivente e un defunto […]? Voi necessitate di intere parole e frasi per definire una simile differenza, non è meglio esprimerla con l’aggiunta di una sola lettera nella parola stessa?»[5]

Più avanti si accenna anche a un’unica lingua universale (come non pensare all’esperanto?) di derivazione però naturale, vista la mancanza del nazionalismo presso i marziani: sono esistiti solo dialetti intercomprensibili, spazzati poi via dalla letteratura.[6] A proposito di quest’ultima, scopriamo una vena polemica di Bogdanov verso le nuove correnti poetiche che hanno distrutto il verso classico e la rima. Presso i marziani invece:

«la regolarità ritmica ci appare bella non per amore delle convenzioni, ma perché è in profonda sintonia con la regolarità ritmica della vita del pensiero. Le rime, che portano a compimento la variegata sequenza nell’accordo finale, non equivalgono forse al profondo legame vitale tra le persone, che rafforza la loro intima diversità per mezzo del piacere derivato dal rapporto non l’arte?»[7]

Se all’epoca in cui scriveva Bogdanov il cinema muoveva i primi passi, si era ancora nell’epoca del muto, su Marte c’è già il cinema 3D[8], e in questo l’autore è stato un precursore notevole. La scienza è più avanzata, tramite trasfusioni di sangue[9] la durata della vita è più che raddoppiata rispetto al passato, ma la natalità non si è adeguata. Ricordiamoci di questo dato, ci torneremo più avanti per dare un giudizio meno idilliaco della “perfetta” società marziana. Riporto qui sotto un brano che va contro tutte le mie idee riguardo al controllo demografico, ma che pure è importante per comprendere l’opera di Bogdanov e il suo pensiero:

«Ridurre la natalità? Questo sarebbe appunto il trionfo degli elementi della natura, la rinuncia alla crescita illimitata della popolazione, un’inevitabile battuta d’arresto sul gradino più basso della scala dello sviluppo. La vittoria si ottiene solo con l’offensiva. Quando rinunceremo alla crescita del nostro esercito, vorrà dire che saremo già assediati dagli elementi della natura su tutti i fronti. In quel momento inizierà a indebolirsi la fede nella nostra forza collettiva, nella nostra grande vita comune. Assieme alla fede andrà perduto anche il senso della vita di ognuno di noi, poiché in ciascuno una piccola cellula di un complesso organismo vive il Tutto e ognuno vive nel Tutto. No, ridurre la natalità sarebbe l’ultima decisione che prenderemmo; e quando ciò accadrà, a prescindere dal nostro volere, allora sarà l’inizio della fine.»[10]

Già qui iniziamo a dubitare della saggezza marziana e della sua superiorità rispetto alla razza umana. Veniamo infatti a sapere che le risorse del pianeta si vanno rapidamente esaurendo e che i marziani tengono d’occhio due pianeti vicini per risolvere i loro problemi dovuti alla “crescita illimitata della popolazione”: Venere – raffigurato come un mondo più giovane rispetto alla Terra, selvaggio e popolato di dinosauri, senza specie intelligenti[11] – e naturalmente il nostro mondo. Vedremo più avanti in che modo viene visto il nostro pianeta da questa intelligenza socialista aliena.

Apprendiamo intanto che su Marte l’eutanasia è legale e molto praticata, soprattutto dagli anziani che hanno perso il senso della vita[12]. Questo e altri aspetti della società aliena vengono immagazzinati nella mente sempre più allucinata di Lenni, il quale finisce con l’ammalarsi e soffrire appunto di allucinazioni. Viene curato amorevolmente da Netti, che si rivelerà una donna (le differenze di genere sono meno marcate tra i marziani) di cui si innamorerà e con cui avrà una relazione. Seguiranno altri flirt con donne marziane, a testimonianza che le due razze sono piuttosto vicine biologicamente, e che l’uomo è poligamo di natura.

Ci avviciniamo al cuore della trama: Lenni scopre infine i piani poco amichevoli dei marziani nei confronti dei terrestri. Dicevamo che due erano le scelte possibili per risolvere i problemi di penuria di risorse naturali: colonizzare il pianeta Venere, disabitato ma selvaggio, e la Terra. Sterni, uno degli scienziati capo marziani, nella sua fredda logica aliena giunge alla conclusione che l’unica soluzione possibile sarebbe quella dello sterminio totale della razza umana, la quale è giudicata inferiore e bellicosa, non disponibile a dividere pacificamente il pianeta con i nuovi arrivati (non avrebbero tutti i torti, i terrestri, vista la “crescita illimitata della popolazione” che porterebbe a uno sfruttamento selvaggio anche della Terra). Qui si inserisce una forte critica alla “politica coloniale” perseguita dai terrestri e al loro egoistico concetto di “patriottismo”[13] e «il desiderio egoistico di autoconservazione»[14] (sic) che li porterebbe a odiare i marziani invasori e a rendere loro la vita difficile nonostante la netta superiorità bellica di questi ultimi. Il socialismo terrestre viene considerato irrimediabilmente primitivo rispetto a quello marziano, e gli stessi socialisti russi sarebbero dei nemici alla fine. La frase conclusiva di Sterni per cui «una forma di vita superiore non può essere sacrificata a favore di una inferiore»[15] ci riporta a concetti che erano ancora di là da venire rispetto al 1908, ma che noi conosciamo purtroppo molto bene (anche se a qualcuno bisognerebbe ricordarli…). Ricordiamo anche che La guerra dei mondi di H.G. Wells era stato pubblicato una decina d’anni prima; i cattivissimi e mostruosi marziani welliani non appaiono affatto peggiori di quelli umanoidi di Bogdanov, almeno per quanto riguarda la politica interplanetaria.

La “soluzione finale” hitleriana ante litteram proposta da Sterni viene per fortuna bocciata in favore a quella più “umana” e razionale di Netti, la quale non nega che «il debole deve soccombere al forte»[16], ma che tutto sommato una convivenza pacifica potrebbe essere possibile in nome dell’unione e dell’amore, quindi meglio buttarsi su Venere. La visione di Netti è condivisa da Menni. Lenni, sconvolto dall’aver appreso la proposta di Sterni, lo uccide nel suo studio e viene quindi rimandato sulla Terra, in un manicomio dove dubita di aver realmente vissuto il suo periodo marziano, finché non compare Netti che, ancora innamorata, se porta via, non sappiamo dove.

Firenze, 1° aprile 2022

Bibliografia

Acciai Baggiani M., La nevicata e altri racconti, Sesto Fiorentino, PoetiKanten, 2015.

Bogdanov A., Stella rossa, Milano, Alcatraz, 2018.

Wells H.G., La guerra dei mondi, 1898.


[1] Dove faccio occasionalmente volontariato.

[2] Come nel mio racconto Inversione gravitazionale

[3] Cfr. Bogdanov A., Stella rossa, Milano, Alcatraz, 2018, p. 73.

[4] Ibidem, p. 66.

[5] Ibidem, pp. 59-60.

[6] Ibidem, p. 69.

[7] Ibidem, p. 108.

[8] Ibidem, p. 123.

[9] Ricordiamo che Bodganov morì a causa di una trasfusione di sangue da uno studente malato di tisi e malaria, qualcuno vi ha visto una sorta di suicidio che ci riporterebbe alle considerazioni sull’eutanasia che l’autore ha inserito nella sua opera.

[10] Ibidem, p. 111.

[11] Si veda anche la visione che ha di Venere gli scrittori americani Ray Bradbury e Isaac Asimov, per fare degli esempi.

[12] Ibidem, p. 117.

[13] Ibidem, p. 164.

[14] Ibidem, p. 166.

[15] Ibidem, p. 171.

[16] Ibidem, p. 174.

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