L’isola dei pirati

Di Massimo Acciai Baggiani

Non sono solito fare stroncature dei libri che leggo – quelli che non mi piacciono preferisco passarli sotto silenzio – ma la lettura di questo romanzo postumo di Michael Crichton (1942-2008) mi ha proprio lasciato l’amaro in bocca. Più volte sono stato sul punto di abbandonare la lettura, cosa che non ho fatto perché lo stile di Crichton è sempre coinvolgente anche se come persona è piuttosto discutibile (ricordo che nel suo libro autobiografico Viaggi parlava di una sua visita al «bordello delle bambine»[1] a Bangkok insieme ad un amico; non partecipa ma neanche sembra disapprovare molto, o denunciare l’amico per pedofilia). Scadutomi come uomo, mi scade anche come scrittore in L’isola dei pirati. Per essere scritto bene, è ben scritto, ma… manca del tutto l’eroe positivo. Cioè, mancano i buoni: nelle 332 pagine del romanzo non si salva nessuno, sono tutti moralmente condannabili, anche e soprattutto quelli che dovrebbero essere gli eroi – i corsari che partono da Port Royal, in Giamaica, nel 1665, per impadronirsi di una nave spagnola carica d’oro. Per l’oro vengono commessi i crimini più atroci, senza il minimo onore (tanto sbandierato dal protagonista, il capitano Hunter). Le donne sono tutte puttane e gli uomini spietati criminali, che vengono esaltati nelle pagine di Crichton. È vero che nel XVII secolo la morale era diversa da quella odierna, e la vita umana aveva meno valore (oddio, in certe zone del mondo è ancora così), ma tanta violenza e mancanza di cuore lascia basiti. Un libro non adatto ad animi sensibili, da dimenticare.

Firenze, 4 dicembre 2023

Bibliografia

Crichton M., L’isola dei pirati, Milano, Garzanti, 2011.


[1] Cfr. p. 140 dell’edizione Garzanti, serie Elefanti, 2006. Sono stato proprio io a scrivere questa precisazione nella pagina italiana di Wikipedia dedicata a Crichton.

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