Cronache di ordinario totalitarismo, ovvero un’utopia distopica

Di Massimo Acciai Baggiani

Nel mio appartamento, ormai strabordante di libri, c’è una collana di letteratura universale della fine degli anni Sessanta (dello scorso secolo). Il volume 30 è dedicato alla letteratura dei Paesi Bassi: un’interessante antologia di autori di varie epoche, tra cui tale Ferdinand Bordewijk (1884-1965), olandese. Di lui sono riportati due brani da un racconto lungo (o romanzo breve) intitolato Blocchi (Blokken nell’originale), uscito nel 1931. Quelle poche pagine antologizzate mi hanno incuriosito e spinto a prendere il libro in biblioteca.

È un’opera stupenda e terribile al tempo stesso: visionaria e profetica, descrive – prima di Aldous Huxley e di George Orwell (ma dopo Noi di Jegenij Zamjatin e Stella rossa di Aleksandr Bogdanov) – una società totalitaria portata alle estreme conseguenze. In uno Stato e in un tempo immaginario, in cui non è difficile riconoscere l’Unione sovietica del futuro, la vita privata dell’individuo è quasi estinta in nome di un ideale di unità che annienta ogni dissenso. Tutto è estremamente ordinato e funzionale, volto al benessere della collettività, a patto però di sapersi uniformare. È una sorta di paradiso in terra per chi ha ucciso il proprio io in nome dell’io statale. La vita dei cittadini è regolata in ogni suo aspetto, dall’abbigliamento al tempo libero.

Un’idea distorta di Comunismo si contrappone al Capitalismo: entrambi si dimostrano sistemi disumani, ciò che avviene nello Stato “cubista” (tutte le città sono ordinate appunto in blocchi cubici – come suggerisce il titolo del racconto – e la “sfera” è considerata eresia), e ciò che avviene all’Estero (dove vige certamente più libertà, ma dove – si presuppone – la gente continua a vivere nell’indigenza mentre pochi sguazzano nel lusso, come nel nostro mondo “non distopico”). Perfino il Consiglio a capo dello Stato sottostà alla legge superiore ed è vittima di essa non meno degli altri comuni cittadini: i dieci del consiglio (cinque uomini e cinque donne) regolarmente impazziscono o vengono fucilati al minimo dissenso. Le decisioni sono prese tutte all’unanimità proprio per questo motivo.

Il “Cubismo di Stato” (questa l’espressione usata non a caso da Antonio Gnoli e Franco Volpi nella postfazione all’edizione italiana che ho letto io) annulla ogni individualità: il risultato è una sorta di alveare, di società di api industriose che non vivono se non in funzione dello “spirito dell’alveare” (prendo a prestito l’espressione da un autore belga, Maeterlinck). Eppure questo Stato che aspira ad essere perfetto e immortale, non riesce ad arginare del tutto il «germe del Peccato», proprio perché si tratta di esseri umani e non di api o termiti. Una rivolta viene soffocata nel sangue, ma il “peccato” continua in modo sotterraneo e, si pensa, non verrà mai sradicato del tutto.

Firenze, 14 gennaio 2024

Bibliografia

Bordewijk F., Blocchi, Milano, Bompiani, 2002.

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