La felicità affogata, ovvero un catastrofico ottimismo

Di Massimo Acciai Baggiani

Avete mai avuto la sensazione che più si cerca la felicità, più questa sembra sfuggire? Anche il protagonista di La felicità affogata ha avuto questa spiacevole sensazione, che tuttavia non riesce ad abbattere il suo indistruttibile ottimismo. Nel romanzo breve di Carlo Menzinger, vincitore ex-aequo del Premio per inediti della World SF Italia nel 2023, ambientato a Firenze in un futuro non troppo lontano (anche se non specificato), Lapo Vinci, progettatore e utente di sofisticate sex doll, passa un guaio dietro l’altro, alternando sfighe paurose (addirittura venendo fatto a pezzi da un tritarifiuti) a colpi di fortuna pazzeschi (viene “risuscitato” e si trova tra i pochi sopravvissuti a un conflitto nucleare globale).

Lapo è un personaggio leibniziano, riesce a trovare in ogni situazione – per quanto disperata – qualcosa di buono, mentre tutto intorno a lui va in malora. Certo, anche lui ha i suoi momenti di sconforto, come quando l’amore della sua vita muore di parto, lasciandogli un bambino da crescere da solo in un futuro che appare a dir poco disastroso. Lapo ha comunque un cuore, anche se non in senso letterale da quando è stato impiantato in un corpo meccanico.

Carlo è famoso per le sue distopie e per la sua, più che giustificata, preoccupazione per il futuro del nostro pianeta – motivo ricorrente di tutta la sua opera, compreso il recente Psicosfera, con la collaborazione del sottoscritto – ma la sua visione non è mai del tutto negativa. Il personaggio di Lapo appare così in buona parte autobiografico, a mio parere, almeno nella sua visione del mondo.

Anche quest’opera, per quanto breve, è ricca di invenzioni futuribili e scenari sociali inquietanti. Ci possiamo solo augurare che le previsioni per il futuro non siano così esatte: intanto ci possiamo godere questo piccolo gioiello di fantascienza italiana che nulla ha da invidiare alla produzione d’oltre oceano.

Firenze, 10 aprile 2024

Bibliografia

Menzinger C., La felicità affogata, Chieti, Tabula Fati, 2024.

Passeggiando a Firenze con Antonella Bausi

Di Massimo Acciai Baggiani

Antonella Bausi negli ultimi anni ha sfornato un libro dietro l’altro, tutti di alto livello, tanto da restare sbalorditi: ha iniziato nel 2017 con un saggio sulla famiglia degli Abati, quindi ha proseguito con Pillole fiorentine nel 2022, inaugurando una proficua collaborazione con la casa editrice toscana Setteponti (diretta dall’amico Enrico Taddei), a cui sono seguite le Pillole medicee e per ultimo (ma solo per ora, ci sono già altri libri in attesa di pubblicazione) Passeggiate fiorentine. Cosa accomuna la produzione letteraria di Antonella? I titoli già lo svelano: la protagonista è sempre Firenze, la nostra amata città, così carica di storia e di storie, oltre che di opere d’arte di ogni genere.

Passeggiate fiorentine segue lo stile degli altri libri, a metà tra saggio divulgativo e narrativa: i personaggi rivivono nelle pagine di Antonella come persone, con i loro drammi e le loro debolezze, con i loro vizi e virtù. Quasi ogni angolo di Firenze è legato a una vicenda, spesso degna di un romanzo: io che in questa città ci vivo da quando sono nato davo, lo confesso, un po’ per scontata tanta bellezza e tanta fama, ma con questo libro l’ho riscoperta con grande interesse, come già mi era successo con gli altri volumi. Difficile dire qualcosa che il libro stesso, e la bellissima prefazione di Luciano Artusi, già non dica, quindi aggiungerò solo che si tratta di un libro che non può mancare assolutamente nelle librerie di chi ama Firenze.

Firenze, 24 marzo 2024

Bibliografia

Bausi A., Passeggiate fiorentine, Castelfranco, Setteponti, 2023.

La storia infinita dei Medici

Di Massimo Acciai Baggiani

Col suo ultimo libro, Pillole medicee, Antonella Bausi si conferma un’ottima narratrice e divulgatrice storica. A metà strada tra narrativa e saggistica, il volume è la naturale prosecuzione di Pillole fiorentine, uscito l’anno scorso sempre con Setteponti, la casa editrice del Valdarno dell’amico Enrico Taddei – libro di cui ho parlato in un altro mio articolo – e ne ricalca lo stile: a dire il vero in un primo momento i due libri dovevano essere un unico volume, ma, come spiega l’autrice nella prefazione, si è preferito scorporare la storia dei Medici e farne un libro a parte. La formula delle “pillole”, scelta «per non gravare troppo il lettore» (parole di Antonella) funziona anche stavolta e ci trasporta, con un linguaggio moderno e agile, indietro nei secoli per ripercorrere una storia, quella della famiglia più famosa di Firenze, che parte dal XIV secolo e arriva al XVIII, dall’ascesa al declino. Non una storia “infinita” in senso letterale, come recita il sottotitolo del libro (“I Medici e Firenze, una storia infinita”) ma certo di memoria eterna, come il Rinascimento e Dante.

Cosa sarebbe stato infatti non dico di Firenze, ma del mondo intero, senza i Medici? Si potrebbe dar vita a un romanzo ucronico, ma di sicuro sarebbe stato un mondo meno interessante. La storia della Famiglia è ricca di eventi che sembrano tratti appunto da un romanzo, e sono storia reale: non a caso almeno il nome “Medici” è noto in tutto il mondo, indissolubilmente legato all’Umanesimo e al Rinascimento. Che altro aggiungere? Non resta che tuffarsi nella lettura di questo libro di storie fiorentine, lasciandosi trasportare dalla fluida scrittura di Antonella, vera esperta della nostra amata città e del suo passato glorioso.

Firenze, 13 giugno 2023

Bibliografia

  • Bausi A., Gli Abati, Firenze, Porto Seguro, 2017.
  • Bausi A., Pillole fiorentine, Castelfranco Piandiscò, Setteponti, 2022.
  • Bausi A., Pillole medicee, Castelfranco Piandiscò, Setteponti, 2023.

Storie rifredine

Di Massimo Acciai Baggiani

Rifredi, il mio quartiere, dove vivo da quando avevo due anni… quanti ricordi, quanti echi anche nella mia scrittura. Uno dei miei racconti rifredini è finito non a caso in un’antologia edita da Edizioni della Sera, a cura di Nicola Biagi, in una collana dedicata ai vari quartieri di Firenze[1]. Si tratta di un breve racconto ricavato da alcune storie vere raccolte dalla voce di Elisabetta “Betty” Salusest, titolare dell’ex Bar Gherardini, ora Bistrot Dalmazia; Un amore senile non è tuttavia un resoconto del tutto aderente alla realtà, la love story tra i due simpatici vecchietti, nato davanti a un caffè e una brioscia, è solo lo spunto da cui è partita la mia fantasia. Una storia riportata ai tempi della pandemia di Covid-19, da me vissuta con grande angoscia – come molti. Il racconto è stato scritto proprio in quest’atmosfera, assente tuttavia negli altri racconti della raccolta, incentrati soprattutto su storie e ricordi di un passato più o meno remoto, con un’eccezione: il racconto fantastico, ambientato in un futuro prossimo, dell’amico Carlo Menzinger, Nerone a Firenze. Il titolo svela già molto della storia. Nel racconto di Carlo sono citato anch’io insieme ad altri personaggi della vita rifredina, quali Clara Vella e Arrighetta Casini, promotrici dei lunedì letterari all’SMS di Rifredi – luogo mitico che mi ha visto crescere in sani valori democratici e antifascisti.

Non posso non ricordare anche gli altri racconti degli amici e colleghi scrittori del Gruppo Scrittori Firenze, presenti anch’essi in A Firenze Rifredi (pur non essendo tutti rifredini): Odissea negli spazi di Gabriele Antonacci (una storia surreale, escheriana); Una poliziotta nel quartiere Cinque, in cui l’amico Renato Campinoti riprende il personaggio dell’avvenente poliziotta Caterina[2]; Il tabernacolo di Fabrizio De Sanctis; Memorie di ordinaria Resistenza di Cristina Gatti, presidentessa del GSF, che rievoca eroici episodi della Seconda Guerra Mondiale; Quando a i’ Sodo c’era un convento di Caterina Perrone (che narra di un incendio e di un amore proibito); e infine La piccola fuga di Massimiliano Scudeletti, un raccontino ricco di riferimenti letterari sullo sfondo del Terzolle, il Rivus Frigidus che ha dato il nome al quartiere, anticamente un paese a se stante.

Insomma, un libro che non può far altro che piacere agli abitanti di Rifredi, ma godibile anche da chi è forestiero. Molti altri i nomi che non ho citato, ma quelli lascio al lettore il piacere di scoprirli da solo.

Bibliografia

AA.VV., A Firenze Rifredi, Roma, Edizioni della sera, 2023.

AA.VV., La prima volta a… Firenze, Roma, Edizioni della sera, 2022.

Menzinger C., Il narratore di Rifredi, Firenze, Porto Seguro, 2019.

Firenze, 11 marzo 2023


[1] Un altro, La villa abbandonata, è finito in un’altra antologia fiorentina, La prima volta a… Firenze, a cura di Giacomo Cialdi, Roma, Edizioni della sera, 2023.

[2] Già presente in Non mollare, Caterina!, Firenze, Porto Seguro, 2019.

Intervista ad Antonella Bausi

A cura di Massimo Acciai Baggiani

In attesa della presentazione del libro di Antonella Bausi “Pillole fiorentine” (Setteponti edizioni, 2022), mercoledì 12 ottobre 2022 (ore 18) presso la libreria Salvemini di Firenze, una breve intervista all’autrice rilasciata tramite mail. Ringrazio Antonella per la disponibilità, ci vediamo dal vivo il 12.

Ci puoi parlare della genesi del libro?

Il libro nasce dalla mia passione per Firenze, una passione a 360 gradi. Firenze non è solo storia, o meglio, la storia a Firenze pervade ogni campo. Io ho voluto, come ho scritto pure nella premessa, raccontare episodi, che magari molti conoscono, ma che forse sono stati messi da una parte e raccontarli in un certo modo, come dei piccoli schizzi che servono a dare subito un colpo d’occhio alla vicenda, ovviamente un colpo d’occhio esaustivo.

L’idea è partita da una serie di post che avevo pubblicato nei gruppi che si occupano di Firenze e di storia fiorentina, vista l’accoglienza che questi racconti ricevevano. Ovviamente, ho dovuto riadattare i post perché ciò che va bene per facebook non può andar bene per un libro.

Qual è il tuo rapporto con Firenze?

Il mio rapporto con Firenze è viscerale e risale diciamo così, alla notte dei tempi, o meglio al momento in cui mio padre ha iniziato a portarmi a giro per la città ed a narramene le storie… le storie, non la storia, sia chiaro, perché ai bambini devono essere narrate le storie, che poi essi, crescendo riusciranno ad organizzare sistematicamente in appositi luoghi spazio/temporali.

Credo che l’amore che provo per Firenze, lo si ritrovi facilmente in ogni mio scritto, un amore che non è cecità, ma fatto di obbiettività e constatazioni vere, non di fantasie di bambina.

Quali sono secondo te i vizi e i pregi dei fiorentini di oggi e di ieri?

Il fiorentino, ed io mi ci metto dentro, si sente sempre Il Migliore, è innegabile. D’altronde cresci in mezzo alla bellezza, da quando hai l’età per comprendere ti senti ripetere che mai in nessun luogo ‘è stata una fioritura d’ingegni così grande, è normale che ci si senta la quint’essenza del mondo. Quindi direi che siamo orgogliosi, un po’ spocchiosi, portiamo avanti questa nostra superiorità culturale come un mantello prezioso e… sì… guardiamo gli atri un po’ dall’alto in basso. Inoltre siamo, rissosi, polemici, in guerra sempre tutti contro tutto, e non per nulla Bargellini era solito dire che per mettere d’accordo i fiorentini ci vuole una calamità che allora diamo il meglio di noi stessi in fatto di altruismo e cooperazione, poi passato il momento…si ritorna a questionare su tutto. Probabilmente è il DNA etrusco…

Poi c’è questo maledetto vizio di prendere in giro gli altri, specialmente chi non è pronto di lingua e di cervello, ma per forza, sappiamo di essere intelligenti e ciò ci fa diventare ingiusti

Anche in passato i fiorentini sono stati tacciati di ogni vizio… lussuriosi, avari, superbi, almeno stando a ciò che dice Dante, ma io credo che davvero si abbia sempre avuto in noi la tendenza al bello, al sublime, unita a certi altri impulsi meno nobili e da qui forse viene la nostra unicità.

È possibile colmare il gap culturale che ci separa da persone vissute in un passato così remoto e comprenderne a fondo il pensiero e la visione del mondo?

Il gap culturale, credo sia impossibile colmarlo, ma comprenderne certe visioni del mondo, beh si può tentare di farlo, anzi è necessario, altrimenti si rischia di giudicare con un metro che non è quello giusto. Nessuno di noi ha adesso una visione teocentrica, l’illuminismo e la rivoluzione scientifica hanno cambiato per sempre il nostro modo di vedere le cose e certi comportamenti sociali sono adesso stigmatizzati, quindi io credo che ogni personaggio storico ed ogni episodio storico vadano collocati nel loro momento. 

Nel libro fai spesso riferimento a Dante e alla Commedia: qual è il tuo rapporto con la figura del grande Poeta?

Dante, è entrato a far parte di me, fin da quando ero piccola. Sicuramente perché nella mia famiglia era, per così dire di casa, vuoi per gli studi fatti, vuoi perché Dante ha sempre fatto parte del bagaglio culturale di noi fiorentini, anche di quelli delle classi più umili.

Mio padre era solito citare Dante ad ogni piè sospinto e nei nostri giri cittadini, era solito leggermi le lapidi che ne riportavano le terzine ed ovviamente spiegarmele.

Quindi per me non è stato affatto uno sforzo comprenderlo e quando l’ho affrontato a scuola, ero già, per così dire in confidenza con lui e con la sua vita.  

Perché ci sono tanti fiorentini all’inferno?

Proprio perché i fiorentini erano ricchi (è il caso di dirlo) di quei peccati che Dante, e la morale del tempo, tanto stigmatizzava. Inoltre molti di quelli che si trovano all’inferno non erano precisamente molto amati dal poeta che si è tolto la soddisfazione di metterli lì, trovando anche il modo di pronunciare tremende invettive contro la sua città tanto amata, ma anche tanto esecrata.

Ovviamente ci sono anche persone care a lui, come Brunetto Latini, ma allora la sodomia era vista come un vizio capitale e Firenze era famosa per esserne una delle sedi.

Se fosse possibile viaggiare a ritroso nel tempo con la macchina di Wells, visiteresti di persona la Firenze del passato? Quale epoca sceglieresti?

È difficile scegliere, ogni epoca ha il suo fascino… certo una puntata nella Firenze di Dante o del Magnifico Lorenzo, sarebbe una splendida esperienza.

Ci puoi dire qualcosa anche del tuo precedente libro sulla famiglia degli Abati?

Il libro sugli Abati, è stata una ricerca su un qualcosa di sfuggente, e siccome sono testarda, mi sono incaponita nella ricerca, riuscendo a togliere la polvere ad una famiglia antichissima, ma non troppo onesta e quindi condannata alla damnatio memoriae. E sono contenta se un po’ di luce su di loro è stata fatta, anche perché è ormai sicuro che essi siano il casato materno di Dante.

Progetti per il futuro?

I progetti sono… a breve l’uscita del prossimo libro “Pillole Medicee”, bozzetti su molti personaggi della famiglia Medici, un altro libro che si dovrebbe intitolare “Passeggiate fiorentine”, dove ad ogni luogo è collegata una o più storie cittadine e poi un libro sulle donne di casa Medici, visto però dalla parte femminile.

Pillole fiorentine

Di Massimo Acciai Baggiani

L’amore per Firenze e per la sua storia millenaria è grande in Antonella Bausi, e traspare tutto nei suoi libri, a partire dal primo che ricostruisce le vicende della famiglia degli Abati. In Pillole fiorentine, ovvero fiorentini si nasce… e si muore l’amica Antonella dà di nuovo prova di una grande preparazione storica e di una non comune perizia nel raccontare, e nel farci appassionare alle vicende della nostra città. Io, fiorentino di nascita, ho imparato molto da questa lettura, e mi sono anche molto divertito. Lo spirito dei miei concittadini del passato, ma anche del presente, è per sua natura portato alla burla, alla passionalità, all’intelligenza machiavellica (io forse in questo sono un fiorentino atipico) come dimostrato nelle numerose storie, tutte rigorosamente vere, raccontate dall’autrice.

Il libro è suddiviso in quattro parti: la prima definisce questo spirito fiorentino, col suo umorismo graffiante e a volte blasfemo; la seconda parla dei santi fiorentini; la terza è tutta dedicata alle vicende amorose e alle peripezie degli innamorati, mentre la quarta e ultima ci parla di guerre, delitti e misfatti di una città dove certamente non regnava l’amore fraterno!

La lettura è godibile anche da chi non ha una grande preparazione storica e lascia la curiosità di visitare Firenze ai forestieri, ma anche la voglia di approfondirne la conoscenza a chi vi è nato e vi vive da molto tempo: un libro insomma per tutti a cui seguiranno (già l’autrice lo ha annunciato) altri volumi sull’argomento.

Firenze, 16 febbraio 2022

Bibliografia

Bausi A., Pillole fiorentine, ovvero fiorentini si nasce… e si muore, Castelfranco, Setteponti, 2022.

Racconti di fiorentini ambientati a Firenze

Di Massimo Acciai Baggiani

fiorentini per sempreFiorentini per sempre è un’antologia uscita in tempi di coronavirus, curata da Paolo Mugnai per la collana di Edizioni della Sera, dedicata alle città e regioni italiane: la stessa collana che comprende Toscani per sempre (a cui ho partecipato col mio Racconto casentinese), curata anch’essa dal Mugnai. Anche qui sono riuniti 24 autori, rigorosamente fiorentini (anche se non tutti di nascita), che hanno dato vita a un ritratto corale affascinante della loro città. Ovviamente l’opera non ha pretese di esaustività – gli scrittori fiorentini viventi sono ben più di 24 – ma rappresenta uno spaccato della nuova narrativa praticata nel capoluogo toscano. Tra questi autori ne figurano alcuni che conosco personalmente – oltre al curatore, Carlo Menzinger, Paolo Ciampi, Enrico Zoi… – e altri li ho scoperti per la prima volta leggendo queste pagine. Il filo conduttore dei 24 racconti, per altro molto eterogenei, è naturalmente l’amore per la propria città, declinata secondo le diverse sensibilità e generi narrativi. Ci sono racconti storici, altri ambientati nel presente, altri ancora di genere fantascientifico: non li ho trovati tutti ugualmente interessanti, devo essere sincero, ma ve ne sono davvero di notevoli.

Io sono fiorentino di nascita, anche se i miei genitori non sono cresciuti in questa città (sono comunque toscani), e il mio legame con Firenze inizia prestissimo. Firenze fa da sfondo a diverse mie opere letterarie: è il luogo che conosco meglio, che vivo quotidianamente, con cui ho un rapporto di “amodio”. Non sono per nulla campanilista, ma qui stanno le mie radici, i miei affetti, la maggior parte dei miei ricordi. Non ho partecipato a questa antologia solo perché avevo già preso parte all’altra (e non mi pareva giusto togliere spazio ad altri), ma pure io avrei potuto presentare più di un racconto che parlasse di questa piccola ma celebre cittadina nella vallata dell’Arno, forse un po’ troppo legata al suo passato e poco interessata ai suoi abitanti attuali. Sono tuttavia un fiorentino poco aderente allo stereotipo: non mi interessa il calcio (in costume o no), odio i sanpietrini in centro, detesto la folla di turisti, non amo molto le burle o il linguaggio sboccato, non vado matto per film quali Amici miei e non frequento il trippaio.

Tornando all’antologia, i racconti che mi sono piaciuti di più sono soprattutto quelli degli autori che conosco personalmente, in primis Carlo Menzinger che ha contribuito con un racconto futuribile catastrofico che non sarebbe stato male neanche nella sua raccolta Apocalissi Fiorentine (Carlo non ha mai avuto una visione positiva del futuro; giustamente ci mette in guardia dai danni ambientali causati dalla stupidità umana). Cosa succederebbe se i ghiacci si squagliassero e il mare salisse, come profetizzano gli scienziati, di 65 metri? Firenze, avendo un’altitudine media intorno ai 50 metri, finirebbe in buona parte sott’acqua, se non che… ma lascio al lettore il piacere di scoprire questo inquietante futuro.

Paolo Ciampi, grande narratore di viaggio, autore di libri ambientati in terre lontane, traccia nel suo racconto Il venditore di pere cotte il ritratto di un personaggio di altri tempi che pare reincarnarsi in un fiorentino di oggi. Livia Fabruccini invece si concentra su una nota piazza dal nome ambiguo, Piazza della Passera: nome che da bambino mi sono sempre rifiutato di associare a quella parte del corpo femminile – mi sembrava troppo volgare per un toponimo ufficiale – e dove sono tornato in tempi più recenti per presentazioni librarie al Caffè degli Artigiani. Il fantasma dell’Hotel Mayflower, di Alessandro Lazzeri, è uno dei racconti più belli, visto anche il mio interesse per le storie misteriose. Notevole anche Caccia al tesoro di Paolo Mugnai, dove vengono descritte le cose assolutamente da fare a Firenze: un racconto delizioso. Infine Sulla soglia di Enrico Zoi – che chiude il libro, ordinato alfabeticamente – pieno di citazioni cinematografiche e ricordi della vecchia Firenze.

Da leggere anche la prefazione di Marco Vichi, il celebre creatore del commissario Bordelli, e la postfazione di Luciano Artusi, studioso delle tradizioni toscane. Mi fermo qui. Se volete avere un’idea della trama degli altri racconti potete trovarla nell’esauriente articolo di Carlo Menzinger dedicato all’antologia.

Firenze, 7 giugno 2020

Bibliografia

Mugnai P. (a cura di), Fiorentini per sempre, Roma, Edizioni della Sera, 2020.

Fiorentini all’Inferno

Di Antonella Bausi

Bene amici, buona serata a tutti ed eccomi qui a cercare di fare un po’ di chiacchiere sui fiorentini presenti nella Divina Commedia. Tanti anni fa, circa cinquanta per la precisione, mio padre mi regalò un libro di Indro Montanelli intitolato “Dante ed il suo secolo”. Mi ci tuffai a pesce ed ovviamente lo lessi e lo rilessi perché allora ero una ragazzina e tante cose non le potevo capire. Ricordo però che una frase mi colpì ..”Dante per popolare l’inferno ed il paradiso non ebbe bisogno di cercare lontano da Firenze, per il purgatorio si”.

In effetti c’è del vero; Firenze è sempre stata una città dalle passione estreme e dai contrasti forti. Non per nulla dei toscani in generale e dei fiorentini in particolare si è detto che hanno “il paradiso negli occhi e l’inferno in bocca”. Dentro di noi si oscilla dalla preghiera alla bestemmia, dall’amore per il sublime alla battuta ribalda e triviale, dall’ascesi mistica al vizio e quindi non c’è da stupirsi che anche nella “Fiorenza sobria e pudica” rimpianta da Dante, vizi e virtù abbondassero, i primi forse più delle seconde.

Quindi partiamo con i… fiorentini all’inferno. Stranamente nei primi cerchi non se ne trovano, nemmeno tra i lussuriosi, come sarebbe logico aspettarsi. Bisogna arrivare al sesto canto, girone golosi, dove facciamo conoscenza con un certo Ciacco che giace sotto una pioggia fetida. Ciacco non è un nome vero ma un soprannome che significa porco e che fu dato ad un membro della famiglia dell’Anguillaia  “….Voi fiorentini mi chiamaste Ciacco..” dice lui. Si sa che fu un banchiere, ma godereccio com’era sperperò il patrimonio ed allora si trasformò in scroccone e parassita autoinvitandosi a feste e banchetti. Di sicuro quando lo vedevano avvicinare i malcapitati di turno si davano alla fuga perché quello era capace di mangiarsi in un giorno le provviste di una settimana. Ciacco si vendica dei suoi concittadini affermando che l’inferno è pieno di loro perché superbi, avari ed invidiosi.
Nel canto ottavo, girone iracondi, troviamo tutto pieno di fango, Filippo de’ Caviccioli detto Argenti, ricchissimo cavaliere che si guadagnò questo soprannome perché una volta fece ferrare il suo cavallo con zoccoli d’argento. Ricco ma superbo, attaccabrighe, violento tanto che sembra che durante una lite avesse preso a schiaffi lo stesso Dante
il quale non voleva prestarsi ai suoi maneggi. e Dante, giù nella palude stigia il riccone, tiè!!!

Canto decimo, girone eretici ..qui sono due e famosi! Cavalcante de’ Cavalcanti, padre del poeta Guido che ricco e raffinato com’era ebbe fama di epicureo e il grande Farinata degli Uberti. E’ indubbiamente uno dei canti più belli e dove Dante rende omaggio al nemico di parte si, ma gran signore e soprattutto ad un vero fiorentino. Su di lui non
spreco parole si sa che fu grande in tutto ed anche se fu artefice della più sanguinosa sconfitta fiorentina, fu anche colui che la “difese a viso aperto”. I suoi nemici per dirne male dovettero inventarsi l’accusa di eresia, cosa normale a quei tempi.

Girone suicidi canto tredicesimo: qui abbiamo un anonimo fiorentino che dice di essersi impiccato nella propria casa e nel quale è parso ravviare Lotto degli Agli giurista famoso che si uccise sembra per il rimorso di aver pronunciato una condanna ingiusta. Perla rara direi, certi magistrati di oggi sono pregati di prendere esempio!!!
Canti quindicesimo e sedicesimo, sodomiti… fiorentini a sfare! Nulla di strano del resto perché la sodomia allora era chiamata “vizio fiorentino”. Primeggia Brunetto Latini che Dante chiama maestro.
Notaio di parte guelfa, subì l’esilio dopo Montaperti e scrisse un trattatello di sapere universale detto “Il tesoretto”. Gli piacevano i ragazzi, e allora? Nessuno è perfetto così come piacevano al Conte Guido Guerra, valoroso cavaliere che fa compagnia a Ser Brunetto. Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari fu uomo di grande buonsenso tanto che si adoperò affinché non fosse dichiarata la disastrosa guerra contro Siena, ma questo non lo salvò dal preferire la compagnia maschile. Invece l’ultimo signore che troviamo una scusa ce l’aveva. Pare infatti che Jacopo Rusticucci avesse per così dire, saltato il fosso, a causa della moglie brutta ed arpia che gli avevano imposto.

Canto diciassette usurai. Da notare la finezza del Sommo che per presentare i peccatori prima ci mostra il loro blasone. Leone azzurro in campo rosso per Catello de’ Gianfigliazzi guelfo nero oltre che strozzino, oca bianca, per Ciapo degli Obriachi e tre montoni in campo d’oro per Buiamonte de’ Becchi che fu gonfaloniere e banchiere ma
che per brama di guadagno, poi fallì venendo condannato per truffa. Bei tempi!!
Scendiamo ancora e nel venticinquesimo vanto fra i ladri si trovano Cianfa dei Donati, ladro di cose e di bestiame ed Agnolello de’ Brunelleschi che non contento di rubare anche ai propri genitori, passava dalla loro bottega ed attingeva alla cassa, così per gradire.
Troviamo anche Buoso Donati che non potendo più per limiti di età, lucrare grazie alla carica pubblica che ricopriva, fece in modo che tale carica la ricevesse un suo protetto (che gli avrà allungato di sicuro una sostanziosa bustarella), un certo Guercio de’ Cavalcanti che troviamo qui insieme al suo amico. Andiamo oltre e nel ventottesimo canto tra i seminatori di discordia troviamo discordia troviamo Mosca de’ Lamberti che “fu mal seme per la gente tosca”. Il signore in questione è ricordato per aver pronunziato la famosa frase cosa fatta capo ha” in merito all’uccisione di Buontelmonte dei Buontelmonti, si proprio di quel ragazzo che scatenò un putiferio a Firenze con i suoi sospiri amorosi. Mosca con le sue parole praticamente provocò quella scissione che fu detta fra guelfi e ghibellini. Non male neppure per quei tempi, visto quello che poi accadde.

Sempre fra i seminatori di discordia troviamo, ahimè un parente di Dante, Geri del Bello. I Del Bello era la casata che si era originata da un prozio di Dante ed infatti questo Geri era un cugino del padre del Sommo Poeta. Pare che fosse un rissoso ed un violento ed alla fine venne ucciso da un Sacchetti. Nessuno aveva vendicato questa morte e l’onta pesava ancora sulla famiglia Alighieri.

Trentesimo canto, troviamo Gianni Schicchi di cui vi ho parlato insieme
all’alchimista Capocchio, arso sul rogo. Coraggio, siamo al canto trentadue quello dei traditori, sia dei parenti che della patria, dove però si abbonda in fiorentini, segno che il  tradimento a Firenze era uno sport piuttosto diffuso. Il primo che Dante trova nel Cocito, il lago gelato è Bocca degli Abati, il ghibellino infiltratosi fra i guelfi a Montaperti e che recidendo con un colpo di spada, la mano al porta stendardo fiorentino, decretò in pratica la sconfitta di Firenze.. Di lui potrei parlarvi abbondantemente (gli ho dedicato un capitolo nel libro che ho scritto sulla sua famiglia) ma non vi annoierò oltre limitandomi a dire che sicuramente Bocca era parente stretto del nonno materno di Dante, il poeta Durante degli Abati e che questa parentela con un traditore doveva urtare parecchio il suscettibile Alighieri; infatti gli rifila un pedatone nel viso che neanche Ronaldo…e poi gli strappa i capelli…. Insomma un comportamento non certo da gentelman. Andiamo avanti e subito dopo troviamo i Conti Alberti fratelli che non seppero far altro che scannarsi fra loro, Sassol Mascheroni che per ereditare da uno zio
vecchio e malazzato ma che ahimè aveva un figlioletto pensò bene di farlo fuori ma si ritrovò poi senza testa quando il misfatto fu scoperto.
Ultimo, per fortuna Gianni Soldanieri, ghibellino ma che tradì i suoi compagni nel 1266 quando si trattò di cacciare i filo imperiali da Firenze.
Qui da l’inferno è tutto, passo e chiudo sperando di non aver dimenticato nessun dannato (non vorrei venissero a tirarmi i piedi stanotte.
Se vi ho annoiato, mandatemi pure all’inferno, troverò tanti concittadini.

Umorismo fiorentino

di Antonella Bausi 

“La storia fiorentina è la storia tipica di una città nella quale l’intelligenza predomina”. Premetto che questa frase non è mia, ma di Guido Piovene, e devo convenire  che mai espressione disegnò meglio la nostra città.

Eh si sa, noi fiorentini siamo un po’..come dire, superbi e maligni. O meglio, siamo talmente convinti di essere più intelligenti (oggi si direbbe, ganzi) degli altri che, specie se ci si trova davanti a qualcuno che sia “d’ingegno quieto più che vivo”, insomma uno di quelli che vengono chiamati con velato (ma non tanto) disprezzo, “merendoni”, ecco che subito ci scatta l’uzzolo di prenderlo in giro e perché no, giocargli qualche tiro birbone. Nulla di cattivo per carità, ma sotto sotto la voglia dello spregio c’è.

Basta pensare a come per traslitterazione, il cognome di una famiglia importante, i Bischeri, sia diventato il sinonimo per eccellenza per definire una persona non proprio brillante. Eh si, i Bischeri non avevano altro da fare che rifiutare di vendere le loro case per la bella cifra offerta dalla Repubblica fiorentina  che in quell’area voleva impiantare la fabbrica del Duomo.  Le case poi furono espropriate per un tozzo di pane e loro rimasero appunto come …bischeri!!

E che dire del Lica ormai diventato proverbiale a Firenze? L’espressione “guadagno del Lica” è da usata da secoli per definire un qualcosa dove il rapporto convenienza prezzo è inesistente. Pare infatti che questo Lica, giovane e belloccio garzone, fosse innamorato di una donnina di mercenaria virtù. Ma era povero, il suo salario era insufficiente e la signora non la dispensava certo gratis. Cosa fece allora il nostro baldo giovanotto per realizzare il suo sogno? Visto che era bello e preso di mira da certi  nobiluomini (eh si, certi vizi esistevano anche allora!) divenne un “prostituto”. Da qui il grezzo modo di dire …“ha fatto il guadagno del Lica che dava via il c… per pagarsi la..” e la rima si indovina facilmente.

Siamo tremendi ed addirittura c’è chi fa risalire l’origine del pesce d’aprile a Firenze, dove alla base di tutto, ovviamente, ci sarebbe un pesce e una piazza fiorentina verso la quale gli ingenui venivano inviati per acquistare una merce inesistente.

Inoltre noi fiorentini abbiamo il gusto della battuta irriverente che non porta rispetta a nulla e a nessuno e che ci fa scherzare anche quando siamo in articulo mortis. Abbiamo il viziaccio di ridimensionare tutto e tutti, autorità costituita in primis e, soprattutto, ci sentiamo investi dalla sacra missione di essere lo spillo che buca i… palloni gonfiati!!! Sapete, per intenderci, quei tipi magistralmente descritti dal Boccaccio… “appena usciti dalle troiate, vestiti di romagnolo con la penna in culo e le calze a campanile”. Ecco appunto, sono proprio questi “signori” che diventano i bersagli preferiti dei nostri scherzi. Non per nulla quando uno si è arricchito e posa a fare il signore lo si chiama “pidocchio rivestito”!!!

Probabilmente ce l’abbiamo nel DNA e gli esempi nella nostra storia abbondano, tanto che se ne trovano tracce ed anche belle nella letteratura.  Da dove vogliamo iniziare?

Beh lo stesso Decameron, ne porta degli esempi illustri e conosciuti a cominciare da due novelle dell’ottavo giorno dove il povero e sempliciotto Calandrino viene beffato dai suoi degni compari (novella dell’elitropia e quella del furto del porco). Nella terza novella della nona giornata,  Maestro Simone, messo su da Bruno e Buffalmacco, fa credere a Calandrino che è pregno, ovvero incinto!!!! Tra l’altro, lo stesso Buffalmacco, pittore minore ma buon pittore del trecento, era famoso per gli scherzi che organizzava e sicuramente al Boccaccio ne arrivarono i resoconti.

Anche le donne fiorentine sono argute e qui fanno egregiamente la loro parte, come quella signora che trovata quasi in flagrante adulterio, con mossa magistrale rovescia la situazione e mette il marito nei pasticci facendolo passare per visionario o ubriaco, oppure come la moglie di Gianni Lotterighi che nella novella della “Fantasima” riesce a far allontanare l’amante senza che il marito abbia il minimo sospetto.

In sintesi Boccaccio ci vuol comunicare che se si è scarsi di sale in zucca, ben ci sta ad essere beffati e chi legge inevitabilmente si ritrova a stare dalla parte di chi gioca il tiro birbone, più che da quella di chi lo subisce.

Anche il Sacchetti nel “Trecento novelle” ci fornisce esempi di questo spiritaccio toscano e soprattutto fiorentino. E che dire poi della famosa beffa di Gianni Schicchi di cui ho già altre volte parlato?

Nel secolo quindicesimo in questo campo primeggia il Pievano Arlotto, parroco della chiesa di San Cresci a Macioli, vicino  a Pratolino, il cui nome diventerà proverbiale per le burle che ha ordito, tanto da far pensare che l’espressione “scherzi da prete” prenda spunto da quello che combinava e che, nei secoli seguenti è stato ritratto in diversi quadri a testimoniare la sua duratura fama cittadina.

Era conosciuto e amato perché le sue facezie, anche se spinte per un ecclesiastico, rallegravano lo spirito e lo stesso Vescovo di Firenze, Antonino Pierozzi (futuro santo), dopo averlo bonariamente ripreso alcune volte, alla fine lo lasciò libero di continuare la sua vita che in fondo non offendeva nessuno. Il suo spiritaccio non si smentì neanche in punto di morte e volle che sulla sua  lastra tombale fosse scritto che “questa sepoltura la fece fare  il Pievano Arlotto per se e per tutte le persone che dentro vi volessero entrare” !

Andiamo avanti di un secolo e nel sedicesimo campeggia la beffa per eccellenza messa in commedia e diventata famosissima…. “La Mandragora”! Beffa tremenda, magistralmente architettata, che porterà una donna virtuosa a diventare, felicemente, l’amante del giovane innamorato di lei, alla faccia dell’anziano consorte ignaro di essere stato raggirato perché sicuro di diventare padre!!!

Continuerà la tradizione Antonfrancesco Grazzini dello il Lasca, che riprenderà la tradizione boccaccesca e che nelle commedie come “La Strega”, “Il frate” e “L’arzigogolo” farà largo uso del suo umorismo per prendere in giro gli sprovveduti (che di regola sono anche dei presuntuosi) e che alla fine risultano sempre inesorabilmente beffati.

Nel secolo diciassettesimo, secolo cupo e bigotto, specialmente a Firenze sotto la guida austera degli ultimi Medici, non si penserebbe di trovare traccia di burle ed invece ecco a voi Giovan Battista Fagiuoli spirito allegro quanto mai, che anche come commediografo seppe ridare nuova linfa ad un teatro di maniera e che non si peritava di rispondere in modo arguto pure all’austero Cosimo III, forse perché si sapeva protetto dal fratello di questi, il ridanciano ed obeso Cardinale Francesco Maria.

Una volta, con un senso dell’umorismo un po’ macabro, assistendo in diretta al volo disastroso di un povero acrobata che si esibiva in una piazza fiorentina, osservò che essendo presenti almeno cinquanta religiosi, il disgraziato doveva aveva ricevuto almeno trenta assoluzioni in articulo mortis prima ancora di precipitare al suolo!

Fine diciottesimo secolo, inizi del diciannovesimo; arriva Napoleone con i francesi che iniziano i proclami con il roboante “Nous voulons” ma il plurale maiestatis non impressiona certo i fiorentini che non ci mettono molto a ribattezzare i nuovi conquistatori “I nuvoloni” ribattendo poi, visto che i francesi non avevano portato nulla di positivo “accio accio gliera meglio il granducaccio”. Tanto si sa che non siamo mai contenti!!!

Facciamo un salto ancora ed arriviamo nella seconda metà del secolo diciannovesimo, anzi nel 1849. Gli austriaci hanno vinto su tutta la linea rimettendo i vari sovrani sui loro troni ed il Granduca Leopoldo II che ebbe la bella pensata di andare incontro a Pio IX di ritorno da Gaeta e che si fermò a Firenze, fu oggetto di un lazzo feroce. Il sovrano era religiosissimo ed quindi in segno di reverenza, prese la mula papale per la cavezza e camminò accanto al Pontefice. Bastò per far venir fuori alcune strofe irriverenti.. “Esempio d’umiltà sublime e raro, Cristo in Sionne entrò sovra un somaro. Entrò in Firenze il suo vicario santo, anch’ei col ciuco, ma l’aveva accanto”. Ed il Granduca è servito.

Povero Granduca detto anche dai suoi sudditi irriverenti “Canapone” a causa dei capelli biondo stoppa. E qui faccio una digressione. Quando ero bambina i miei genitori mi portavano spesso al micro zoo che era allestito nel Parco delle Cascine. Pochi animali spelacchiati, fra i quali un cammello che veniva chiamato appunto Canapone perché il labbro inferiore sporgente e il modo di incedere un po’ dondolante richiamavano alla mente la figura del vecchio Granduca!!! La presa di giro verso il bistrattato sovrano continuava ancora cent’anni dopo che da se n’era andato.

Sempre in quell’anno, il Lachera trippaio che non le mandava a dir dietro a nessuno e che ce l’aveva con il Granduca ritornato sotto la protezione degli austriaci, prese a pretesto la ripulitura il famoso bronzo del  porcellino per mettersi vicino alla statua e  berciare …e  l’hanno ripulito, ma gli è sempre un porco…”, ovviamente con il ben evidente doppio senso.  Ma mica solo con i Lorena se la prendeva il Lachera.

Nel 1861 era nato da poco il Regno d’Italia che secondo i roboanti proclami doveva essere una nuova età del benessere ed invece aveva accentuato la miseria; quindi il Lachera non si peritava di gridare e s’avea a notar nell’oro, e s’avea… …e invece gli è tutto rame… Lo dicean figliacci di puttane… ma per loro facendo tintinnare con la mano nella tasca del suo grembiule le poche monete che invece di essere d’oro erano spiccioli di rame!!

Siamo nel 1870, Firenze non è più capitale? Arrivata puntale la frecciata “Torino piange quando il prence parte e Roma ride quando il prence arriva; Firenze, gentil culla sell’arte l’ha in tasca quando arriva e quando parte”, non velata allusione allo scempio fatto dai piemontesi.

Il secolo ventesimo vede l’avvento del fascismo che ad un certo punto mette obbligatorio l’uso del “Voi”; un bel giorno la targa che indica il Viale Galileo Galilei si ritrova un frego sull’ultima parte del cognome dello scienziato ed in bella vista una correzione scritta con il  pennello nero ed il viale diventa “Galileo Galivoi” suscitando matte risate nei fiorentini!!! Un po’ meno avranno riso i fascisti che ahimè erano tristemente famosi per essere sprovvisti di ogni sens of humor.

Durante la guerra non si ha voglia di scherzare neppure a Firenze e soltanto nei confronti dei paracadutisti della Folgore ci si permette una battuta. Questi baldi giovani ogni tanto avvertono con dei volantini che caleranno a Firenze. Dato che però si continua a non vederli verranno ribattezzati “I calamai”!

Siamo nel novembre del 1966 e Firenze vive una delle sue più grosse tragedie, l’alluvione. Passato il primo momento di smarrimento i fiorentini si rimboccano le maniche e con la voglia di riscatto riaffiora il loro perverso senso del ridicolo. Appaiono cartelli con scritto (si tratta di un ristorante) “Oggi umido”, giocando sul doppio senso fra l’umidità portata dall’alluvione e la cucina fiorentina per la quale l’umido è il piatto dove la vivanda viene rifatta con il pomodoro,  mentre fuori da un negozio di stoffe si legge “Stoffe irrestringibili garantite; già bagnate”, oppure “Prezzi sott’acqua” per finire con la battuta pronunciata da un ignoto fiorentino la notte di Natale. Era venuto il Sommo Pontefice a celebrare la Messa di mezzanotte nella città martoriata, Messa che si svolgeva all’aperto, nella piazza di Santa Croce ed il Santo Padre vedendo la grande folla disse commosso: “Stanotte in cielo volano gli angeli”; al che sembra che uno spettatore abbia detto chiaramente “Per ora son volate solo di molte madonne”  ed i fiorentini sanno bene cosa si intenda nella nostra città con la parola madonne…bestemmie o meglio moccoli!!! Per fortuna Paolo VI non sentì sennò ci comminava l’interdetto e la scomunica. Non si sa se è vera, ma come si dice, se non è vera è ben trovata e rispecchia il nostro animo.

E dove vogliamo mettere l’ironia fiorentina di “Amici miei” sia la parte prima che seconda? La burla della tomba al povero vedovo è feroce e non è la sola.

E guai a ad essere un’autorità e sparare frasi appunto a..bischero.

Ne sa qualcosa Matteo Renzi sul quale riporto due battute. La prima, quando era ancora Sindaco e venne la famosa nevicata del 17 dicembre 2010. Il primo cittadino dichiarò con la solita aria un po’ sprezzante che lo contraddistingue, che le proteste non lo toccavano perché lui aveva la coscienza a posto in quanto aveva fatto spargere il sale per le strade. Bene, visti i risultati risibili, qualcuno scrisse e proclamò “O Renzi co ‘i sale che tu’ hai sparso un si condisce nemmeno l’insalata”!

La seconda fu un  chiaro messaggio a lui come premier e al ministro Maria Elena Boschi (ex Cda di Publiacqua, la municipalizzata nel mirino di diverse indagini), entrambi impegnati nella campagna referendaria per il  al quesito sulle riforme istituzionali, mentre la rete idrica cittadina faceva, è il caso di dirlo, acqua da tutte le parti. Sapete che scrissero le nostre linguacce?  “Cambia i tubi, non la Costituzione”. Visto come gli è andata dopo, i fiorentini avevano ragione.

Un giallo fiorentino “bagnato”

Risultati immagini per il rumore della pioggia

Articolo di Massimo Acciai Baggiani

Firenze, si sa, ha più di un volto. C’è la Firenze dei turisti, che ne conoscono soprattutto il centro (dove si intrecciano i più svariati idiomi), e c’è quella di chi vi abita e vi lavora. Secondo il protagonista de Il rumore della pioggia, recente giallo di Gigi Paoli, Firenze è in fondo una città «terribilmente gotica», con quei palazzi antichi di pietra che incombono e tolgono il respiro alle viuzze strette del centro. Anche il recente e discusso Palazzo di Giustizia, sorto nella periferia nord, proietta un’ombra inquietante sulla città rinascimentale, tanto che lo stesso protagonista del romanzo, il giornalista Carlo Alberto Marchi, l’ha soprannominato «Gotham», come Gotham City, la città di Batman. Proprio tra i vicoli del centro e il gigante postmoderno, continuamente bagnati da una pioggia cupa e incessante, è ambientata la vicenda, narrata in parte in prima persona dal Marchi e in parte dal punto di vista delle forze dell’ordine. Naturalmente c’è un omicidio misterioso alla cui soluzione si arriva passo passo, fino al colpo di scena finale. È sempre difficile recensire un giallo perché si rischia di spoilerare o di non dire nulla di sostanziale: mi limiterò quindi a dire che è un romanzo ben scritto, scorrevole, in cui la suspense e l’ironia si bilanciano perfettamente. Marchi, divorziato, è alle prese con i problemi pre-adolescenziali della figlia Donata che gli rimprovera in continuazione, e a ragione, di non avere mai tempo per lei: il giornalista del Nuovo infatti è un vero stacanovista e non si arrende mai finché non ha trovato la notizia sensazionale. Il romanzo è anche uno spaccato della vita nella redazione di un quotidiano e in quella del Palazzo di Giustizia, tanto dileggiato da Carlo Monni in un suo contrasto, ma amato dall’autore. Gigi Paoli è a sua volta un giornalista, ex responsabile della cronaca giudiziaria de La Nazione e oggi caposervizio nella redazione di Empoli, quindi si può ben dire che sa di cosa parla. Le avventure giornalistiche di Carlo Alberto Marchi continuano col successivo Il respiro delle anime e con La fragilità degli angeli in uscita il 19 settembre.

Firenze, 1° settembre 2018

Bibliografia

  • Paoli G., Il rumore della pioggia, Firenze, Giunti, 2016.
  • Paoli G., Il respiro delle anime, Firenze, Giunti, 2017.
  • Paoli G., La fragilità degli angeli, Firenze, Giunti, 2018.