L’isola dei pirati

Di Massimo Acciai Baggiani

Non sono solito fare stroncature dei libri che leggo – quelli che non mi piacciono preferisco passarli sotto silenzio – ma la lettura di questo romanzo postumo di Michael Crichton (1942-2008) mi ha proprio lasciato l’amaro in bocca. Più volte sono stato sul punto di abbandonare la lettura, cosa che non ho fatto perché lo stile di Crichton è sempre coinvolgente anche se come persona è piuttosto discutibile (ricordo che nel suo libro autobiografico Viaggi parlava di una sua visita al «bordello delle bambine»[1] a Bangkok insieme ad un amico; non partecipa ma neanche sembra disapprovare molto, o denunciare l’amico per pedofilia). Scadutomi come uomo, mi scade anche come scrittore in L’isola dei pirati. Per essere scritto bene, è ben scritto, ma… manca del tutto l’eroe positivo. Cioè, mancano i buoni: nelle 332 pagine del romanzo non si salva nessuno, sono tutti moralmente condannabili, anche e soprattutto quelli che dovrebbero essere gli eroi – i corsari che partono da Port Royal, in Giamaica, nel 1665, per impadronirsi di una nave spagnola carica d’oro. Per l’oro vengono commessi i crimini più atroci, senza il minimo onore (tanto sbandierato dal protagonista, il capitano Hunter). Le donne sono tutte puttane e gli uomini spietati criminali, che vengono esaltati nelle pagine di Crichton. È vero che nel XVII secolo la morale era diversa da quella odierna, e la vita umana aveva meno valore (oddio, in certe zone del mondo è ancora così), ma tanta violenza e mancanza di cuore lascia basiti. Un libro non adatto ad animi sensibili, da dimenticare.

Firenze, 4 dicembre 2023

Bibliografia

Crichton M., L’isola dei pirati, Milano, Garzanti, 2011.


[1] Cfr. p. 140 dell’edizione Garzanti, serie Elefanti, 2006. Sono stato proprio io a scrivere questa precisazione nella pagina italiana di Wikipedia dedicata a Crichton.

Anarchia marziana

Di Massimo Acciai Baggiani

La fantascienza parla spesso di politica, situando nel futuro prossimo o remoto antichi sistemi di governo (penso all’Impero Galattico di Asimov) o nuove utopie e/o distopie (si vedano quelle di Aldous Huxley, di Ray Bradbury e di George Orwell, per fare esempi celebri). Nelle mie letture però raramente avevo trovato riferimenti espliciti all’anarchia in toni positivi. A fare l’apologia di questa visione del mondo – con cui mi trovo pienamente d’accordo – è un personaggio di un racconto di Stanley G. Weinbaum (1900-1935), autore statunitense importante quanto sfortunato: il racconto in questione si intitola Marte: la seconda odissea e fa parte di una serie di racconti contenuti in un’antologia apparsa in Italia col titolo di Un’odissea marziana.

Siamo in un improbabile (per noi uomini del Duemila) XXII secolo, quando l’umanità sta colonizzando i principali pianeti e satelliti del Sistema Solare (Marte, Venere, Urano, Io…). Dirò subito che, guarda caso, tutti i suddetti corpi celesti hanno un’atmosfera respirabile e una pressione simile a quella terrestre. Anche le temperature, almeno in certe zone, sono compatibili con la vita umana, ed esiste anche una vita autoctona che in qualche caso risulta poi intelligente, anche se aliena e con un intelletto diverso da quello umano. C’è da divertirsi, se non si bada troppo alla verosimiglianza scientifica (ma consideriamo che negli anni Trenta la stessa scienza ufficiale ne sapeva ancora ben poco dei pianeti a noi vicini…). Un bel libro, insomma, una pietra miliare per la storia del genere fantascientifico, scorrevole e pieno di invenzioni fantastiche.

Veniamo al dialogo a cui accennavo, quello in cui si parla di anarchia[1]. Sulla Terra esistono, in questo futuro immaginato da Weinbaum, tre sistemi politici: autarchia, democrazia e comunismo. L’anarchia sulla Terra non è mai stata tentata (o comunque, aggiungo io, non ha mai funzionato) perché – secondo Jarvis (l’esploratore protagonista del racconto) – i marziani (dalla strana forma di struzzi estremamente intelligenti) a differenza dei terrestri sono abbastanza evoluti per permettersi di non avere bisogno di un governo:

«Bè, quando si arriva al sodo […] l’anarchia è la forma di governo ideale, se funziona. Emerson diceva che il governo migliore è quello che governa meno, e lo sosteneva anche George Phillips; e anche Washington, mi pare. E non può esistere una forma di governo che governi meno dell’anarchia, che è l’assenza di un governo.»

Il comandante della spedizione ribatte perplesso, perfino indignato all’idea di un popolo intelligente che pratichi l’anarchia:

«Ma è contro natura! […] Perfino le tribù selvagge hanno un capo. Persino un branco di lupi ce l’ha.»

Pronta la risposta di Jarvis:

«In una razza perfetta non ce ne sarebbe affatto bisogno. Il governo è l’ammissione del fatto che c’è bisogno di leggi per tenere a freno gli individui antisociali. Se non ci fossero antisociali, non ci sarebbe bisogno delle leggi o della polizia.»

L’obiezione del comandante è lapidaria ma significativa (e fa andare il sangue alla testa a un anarchico pacifista come me), tuttavia anche questa trova una risposta più che valida nelle parole del saggio Jarvis (bravo!):

«Ma il governo sarebbe necessario! E i lavori pubblici, le guerre, le tasse?»

«Niente guerre su Marte […]. La popolazione è poco numerosa e molto dispersa. Inoltre, per far funzionare il sistema dei canali occorre la collaborazione di ogni comunità. Niente tasse, perché, evidentemente, tutti gli individui cooperano per costruire le opere pubbliche. Niente concorrenza che causi difficoltà, perché chiunque può prendersi quel che gli occorre. Come ho detto, in una razza perfetta, il governo è assolutamente inutile.»

Il comandante chiude il discorso con parole sprezzanti:

«Ma l’anarchia […] è logico che sia apparsa su un mondo piccolo e mezzo morto come Marte!»

E siamo nel 1935 (l’anno di morte di Weinbaum), in pieno nazismo. Solo tre anni prima era uscito Il mondo nuovo di Aldous Huxley, una distopia (così vicina all’utopia) in cui c’è sì un governo (mondiale per giunta) ma non ci sono né guerre né tasse. Due società simili e diverse, che forse non si realizzeranno mai sul nostro pianeta, in particolare il modello marziano. Pure sostengo, da anni ormai, che l’Uomo dovrà evolversi anch’esso verso un mondo più giusto, privo di guerre, di nazionalismi e di autoritarismo, se vorrà evitare l’estinzione. Ce la farà in tempo? Io rimango ottimista nonostante le tragedie che ci circondano, soprattutto in questo momento storico.

Firenze, 27 novembre 2023

Bibliografia Weinbaum S. G., Un’odissea marziana, Bologna, Libra, 1982.


[1] Cfr. Weinbaum S. G., Un’odissea marziana, Bologna, Libra, 1982, pp. 70-72.

Sempre a est

di Alessandro Del Gaudio

Ho davvero gustato questo gioiello pubblicato da Delos Digital nella collana Fantasy Tales, che dimostra come nella botte piccola si conserva il vino buono. Piccola perché siamo in presenza di un romanzo breve, che potrete gustarvi in una giornata. Una fiaba dark e, al contempo, un fantasy avventuroso e visionario, in cui il filo conduttore è il rapporto tra un uomo e il suo surypanta, un animaletto che sta in una mano, ma molto di più di un banale animale da compagnia. Leggendo la storia viene da chiedersi chi dei due, in questo legame, controlli l’altro, perché i surypanta sono bestiole molto ricercate e i loro proprietari farebbero le peggiori pazzie pur di non lasciarseli rubare, cosa che immancabilmente accade e mette in moto tutta la vicenda. C’è chi i surypanta li ruba, li colleziona o, nella fattispecie, li raccoglie. Sappiate che sono gli animali più longevi del mondo, il più giovane di essi è molto più anziano dei vegliardi umani, e detengono un grande potere. Ancora una volta, in botte piccola… La storia è lineare e avvincente, il protagonista, Hynreck, dovrà trasformarsi da boscaiolo a paladino, eroe e abile spadaccino per poter tenere testa al terribile Raccoglitore, che intende impossessarsi di tutti i surypanta per scopi malvagi come solo un mago malvagio può averne. Il finale è tutta una sorpresa. Per cui non perdetevi questa piccola grande storia e fate come me, leggetevela con il vostro animaletto vicino (immancabilmente i miei gatti mi facevano compagnia), oppure se non ne avete accoglietene uno. Magari non sarà un surypanta, ma avrà il potere di rendervi felici, come se lo fosse.

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Massimo Acciai Baggiani ed Emanuele Martinuzzi leggono poesie da “Cinque amici in versi”

Massimo Acciai ed Emanuele Martinuzzi leggono tre poesie da “Cinque amici in versi” al XXVII incontro nazionale artisti A&A di Marzia Carocci, Firenze, Teatro di Cestello, 11 novembre 2023

Giovanni e Mmquax

«Ma da che pianeta vieni? Non ho mai visto un imbranato più imbranato di te. Sembra che al tuo paese non ci sia niente: non hai mai visto gli alberi, altrimenti perché ti fermeresti a guardarli così da vicino? E non parliamo poi dei fiori! Ogni nuova forma, ogni nuovo colore, ti stupisce e rapisce la tua attenzione. Devi dirmi la verità come fai a non aver mai sentito il calore del sole, il fresco dell’ombra e il bello del camminare sull’erba a piedi nudi? Non puoi essere un terrestre, sulla Terra tutti conoscono queste sensazioni.»

«******°°°°°§§§§§§§»

«Ah ecco adesso ho capito tutto! Vieni da lontano, da tanto lontano parli una lingua che non conosco. Più che una lingua mi è sembrato uno stridere di denti e metallo. Sai che ti dico “coso”? Sei piccolo come me, hai qualcosa come due gambe e probabilmente anche due braccia. Invece i tuoi occhi mi piacciono, sorridere ti viene spontaneo e se ti va, puoi giocare con me!»

«J©Δ¥À»

«Fantastico! Io e te ci capiamo benissimo! Hai visto il film “E.T.”? No? Ma non hai nemmeno la tivù sul tuo pianeta? Che giochi fai? Facciamo una corsa ti va?»

«[»ªª»

«Era un sì? Mi pare di aver capito che hai voglia di correre! Dài guarda che bel prato, seguimi! Rotola dai, buttati sull’erba è morbido, fresco, non ci sono sassi, fai come me, senti che bellezza. Io mi chiamo Giovanni e ho dieci anni, ti posso chiamare Max, se sei d’accordo. Ah, non parlare non ti capisco, fai un cenno con la testa. Fai così se ti piace, così se non vuoi.»

«Sì mi piace»

«Non c’ho capito niente! Max è bello stare qui vero? Hai fame? Possiamo fare a metà della merenda che mi ha dato la mamma. Tieni assaggia, sono biscotti con le mandorle, li ha fatti la nonna ieri, prova a dargli un morso. Eh che ti dicevo, sono buonissimi!»

«[JJgrr…»

«Oh! Stai provando a parlare nella mia lingua? Sai ho visto un film di fantascienza dove un extraterrestre parlava in un aggeggio colorato che riusciva a tradurre nella nostra lingua quello che diceva. Ce l’hai anche tu?»

«Gio $¥Xni»

«Bravo Max! Giovanni e Max grandi amici. Prova ancora! Vuoi un altro biscotto? Oh è l’ultimo, facciamo a metà da bravi amici!»

«Maxµx… sì.»

«Adesso ci vorrebbe un bicchier d’acqua! Avete l’acqua su da te?»

«Nonna… x»

«La nonna mi ha comprato un bicchiere speciale guarda: si chiude e si apre così, sta in tasca e non dà fastidio e quando voglio bere vado alla fonte, lo apro e bevo. Andiamo alla fonte a bere? L’acqua è fresca e buona, dai ti faccio provare anche questa specialità della Terra.»

«Uaaaquaaaaaaaa»

«Corri! Sei diventato bravo, sei più dritto adesso; ti voglio far assaggiare l’acqua, non sai cos’è? Sentirai che buona!»

«Giovvvanniii, Giovanni, Giovanni!!»

«Bravo, ci sei riuscito! Adesso prova il tuo nome: Mm aa x»

«Maaaz… mass… Max!»

«Eccoci qua: vedi questa che scorre a valle è l’acqua! Toccala, senti come è fresca? È strana l’acqua vero? Ne vedi tanta ma non la puoi prendere! Però quando arriva giù a valle ci puoi giocare, nuotare, fare i tuffi. Ehi non fare quella faccia triste, un giorno ti ci porto e ci divertiremo da matti, promesso, adesso però allunga la mano, prova a sentirla, poi ne beviamo un po’, va bene?»

«Uuhh ¶Âë … acqua! Questa è acqua buona, mangio acqua!»

«Stai facendo progressi, impari alla svelta: sei come me. Anche io imparo presto, la maestra mi dice sempre che ho l’intelligenza per… sper… picace… perspicace. Credi a me, quando andremo a casa la mamma non si accorgerà che sei strano, dirò che sei un mio compagno. Allora prendiamo il bicchiere e beviamo un po’ d’acqua prova!»

«Acqua? Bicchiere? Acqua ti prendo con le mani!»

«Max no! Non si fa prendere l’acqua, scappa via, meglio con questo. Vedi come è bello pulito, è trasparente così ci vedi a traverso. Una volta usavano le foglie grandi come piatti ma per bere era un problema, credimi l’unico modo è questo piccolo recipiente. Prova, assaggia, manda giù!»

«Acqua! Buona acqua! Bicchiere, no foglia, meglio questo! Giovanni e Max amici!»

«Lo puoi dire forte Max! Nessuno ci dividerà, staremo sempre insieme! Me lo dici ora il tuo vero nome?»

«Mmquax!»

«Max? Ma dai! Ci ho preso allora! Torniamo a casa Max, prima che faccia buio. Non avete il buio sul vostro pianeta?».

                                                                                               Milena Beltrandi

Alcune considerazioni sul Valenx e una breve poesia

Di Massimo Acciai Baggiani

La notizia della nascita di questa nuova lingua artificiale, nel 2023, non è passata inosservata alla stampa nazionale, soprattutto per la giovane età del glottoteta: uno studente fiorentino di sedici anni (io alla sua età mi limitavo a scrivere poesie, le lingue inventate sarebbero arrivate decenni dopo…). La notizia mi ha incuriosito e per la modica cifra di 4,96 euro (più spese di spedizione) ho acquistato su Amazon il libro di Giulio Ferrarese, autopubblicato e venduto a prezzo popolare perché guadagnarci non è lo scopo dell’autore, come dichiarato da lui stesso.

Ferrarese ha creato un idioma che pesca molto dal latino, studiato al liceo (lo si vede nelle terminazioni dei casi), ma che non deve quasi nulla all’Esperanto, lingua artificiale ben più antica e diffusa. D’altra parte il Valenx (“lingua dei libri”) non si pone come qualcosa di più di un gioco intellettuale, anche se il vocabolario di tremila parole che occupa quasi tutto il volume Valenx, una nuova lingua permette di comprendere un testo scritto in tale lingua (peccato l’autore non abbia inserito anche una sezione di vocabolario italiano-valenx, sarebbe stato più comodo usarlo anche per tradurre o scrivere testi originali…).

Il Valenx viene presentato come «una lingua nominativo-accusativa che fa uso di declinazioni e ha un sistema verbale agglutinante» (dalla quarta di copertina): il Ferrarese mostra di padroneggiare bene la materia linguistica; lo si vede nelle traduzioni letterali delle frasi che porta ad esempio, con l’uso di suffissi e affissi, e nella costruzione che ricalca, come abbiamo detto, il latino ma non solo; sento infatti l’influsso di lingue esotiche. Il giovane glottoteta ha anche una passione per la fisica; si nota non a caso una certa razionalità nella lingua, quasi priva di irregolarità (e questo l’accomuna all’Esperanto, che ne è del tutto privo).

Riguardo al lessico, che rivela una lingua a priori, una nota curiosa sull’etimologia e un omaggio al grande Tolkien, pure lui glottoteta: “viaggiare” in Valenx si dice “Hobbit”.

Insomma, un bel lavoro, penalizzato purtroppo da una pessima impaginazione e da diversi refusi: il Valenx “funzionerebbe” come lingua viva, fuori cioè dai libri da cui trae il suo nome? Ai posteri l’ardua sentenza, certo il sistema fonetico non è dei più semplici, nel frattempo mi sono dilettato a scrivere qualche verso surreale-apocalittica, con la speranza di entrare in contatto un giorno col collega glottoteta per un’occhiata alla mia composizione estemporanea e per farmi spiegare come si pronuncia…

Telos  

Hokori irma jharenam
Jhujee, rinthu telotu
Deotes lagris
A akotum.
Buio  

Polvere lava la superficie
Gradualmente, rito oscuro
Di un meccanismo pallido
Tra i colori.

Firenze, 18 ottobre 2023

Bibliografia

Ferrarese G., Valenx, una nuova lingua, ilmiolibro.it, 2023.

La comunità dei viventi

Massimo Acciai Baggiani

La comunità dei viventi di Idolo Hoxhvogli è un libro coltissimo, ricco di metafore e scritto in un linguaggio poetico. Superato lo scoglio delle prime pagine ed entrati nella logica dell’autore, il testo appare chiaro, preciso, stringente: quarantasette prose che, nella loro concatenazione, si addentrano nel mistero della vita e della creazione.

Hoxhvogli parla di Dio: un Dio che ha creato l’uomo per curiosità, che vede il futuro attraverso le nuvole e che ha dato all’artista il dovere di non avere doveri – a dispetto di quanto vorrebbero i governi totalitari. La realtà dei viventi è caotica, disperata e in disarmonia con l’universo: le piante lottano tra loro, i polpi hanno lezioni da dare, i funghi condividono con gli uomini «la mancanza di un cervello e l’essere disposti a tutto, ma a differenza di questi sono ingegnosi e aggirano le difficoltà».

La comunità dei viventi è attraversata da labirinti, geografie fantastiche, teorie antiche e moderne. Il libro ricorda nello stile Palomar di Italo Calvino e alcune meditazioni di Jorge Luis Borges: l’indagine intellettuale, la volontà di vedere oltre, la ricerca del segreto intimo delle cose. Nella parte finale del libro la realtà tutta sembra sfaldarsi, scivolare come sabbia tra le mani. Nulla è certo nel mondo dei segni, neanche chi sia il vero protagonista delle storie che abbiamo di fronte. Un’opera densissima, che mostra in filigrana il grande lavoro intellettuale e umano che la sostiene.

Idolo Hoxhvogli, La comunità dei viventi, Clinamen, Firenze 2023.

I figli della galassia: un po’ di fantascienza italiana vintage

Massimo Acciai Baggiani

Un giorno, mentre stavo dando un’occhiata a uno scaffale del libero scambio, la mia attenzione fu catturata dalla copertina a colori vivaci, un po’ sciupata dal tempo, di una vecchia rivista di fantascienza, in particolare dal nome che compare sulla suddetta copertina: Azimov.

Il primo pensiero è stato “Strano, non conoscevo questo romanzo”, il secondo “Ma Asimov non si scrive con la S?”. Non si trattava evidentemente del celebre scrittore americano, anche se il titolo del romanzo contenuto nella rivista sembrava un chiaro richiamo all’opera asimoviana e alla space opera degli anni Cinquanta: I figli della galassia. Senza alcun dubbio presi la rivista e me la portai a casa, incuriosito. Poco più tardi sentii l’amico e collega scrittore di fantascienza Pierfrancesco Prosperi, il quale mi svelò l’arcano. Dietro l’astuto pseudonimo di Jack (NON Isaac) Azimov si celavano due autori italiani: i compianti Antonio Bellomi (1945-2021) e Luigi Naviglio (1936-2001).

Pierfrancesco mi svelò anche che (guarda la coincidenza!) il romanzo, diviso in due parti, avrebbe dovuto contenerne anche una terza, scritta da lui stesso. Il romanzo completo fu poi ripubblicato dalle Edizioni Della Vigna nel 2016, senza pseudonimo e con tutti e tre i nomi degli autori, col titolo di Crociera tra le stelle. Per essere più precisi si può parlare di due romanzi brevi accomunati dalla stessa ambientazione e dagli stessi personaggi, scritti a partire dal 1964 e usciti poi sulla rivista “Altair” (che sarebbe poi diventata “Spazio 2000”, quella trovata da me allo scaffale del libero scambio) nel 1976. Prima della fine della telefonata, che ci portò ad aggiornarci sui nostri rispettivi lavori letterari in corso, Pierfrancesco mi promise di spedirmi il romanzo completo.

Svelato questo piccolo mistero, veniamo dunque a questa graziosa opera della fantascienza nostrana la quale, a mio parere, nulla ha da invidiare a quella d’oltreoceano.

La vicenda è un classico e si inserisce nel filone dei viaggi di esplorazione spaziale che trova nella serie di Star Trek un esempio celeberrimo. Qui siamo nell’anno 10.102 (presumibilmente d.C.): l’astronave interplanetaria Star-Arrow è incaricata di riprendere contatto con le antiche colonie terrestri su altri sistemi planetari, ripercorrendo il tragitto compiuto secoli prima da un’analoga astronave terrestre, il cui compito era di individuare pianeti adatti alla colonizzazione umana.

La Star-Arrow è guidata da tre uomini – Cannon, Morton e McGregor – amici inseparabili, e porta con sé un esercito di scienziati, tecnici e militari. In questo futuro remoto è ancora ben presente un tenace attaccamento alla Terra, la patria umana, ed esistono ancora le religioni (a bordo ci sono un prete cattolico e uno protestante) oltre a varia tecnologia analogica (gli autori non potevano ovviamente prevedere negli anni Settanta la rivoluzione digitale, anche se qualcosa Asimov – quello “vero” – aveva accennato nelle sue opere). Sullo scafo dell’astronave spicca la bandiera terrestre perché

«(…) gli uomini, senza un simbolo e cioè una bandiera, una casa, una patria, non avrebbero avuto ragione di esistere.»[1]

Personalmente questa affermazione non mi trova d’accordo, mi riconosco piuttosto nel testo della canzone Passaporto per le stelle, scritto dal compianto Valerio Negrini e cantato dai Pooh, che parla di due novelli Adamo ed Eva che vengono spediti dalla Terra ormai sull’orlo dell’autodistruzione su un pianeta vergine dove salvare il seme umano, e dove una «fortissima presenza» li esorta:

Fate nuovi amori, fate nuove geografie,
senza generali, cattedrali e nostalgie.
Senza più bandiere mai.[2]

Visto che è stato proprio il nazionalismo, il militarismo e il fanatismo religioso a portare alla rovina il mondo. Per il resto condivido la fiducia nel progresso dell’equipaggio della nave, i suoi scopi umanitari e la visione grandiosa di un Cosmo colonizzato dall’Uomo guidato sì dalla scienza ma soprattutto dal cuore.

Il primo pianeta presentatoci dal romanzo si trova nel sistema di Helfar, su cui trecento anni prima era scesa l’astronave Fede carica di coloni in fuga da un pianeta dominato da un sistema totalitario e liberticida. Gli uomini della Star-Arrow rilevano subito una pericolosa anomalia: la luce è accecante! Il mistero è presto svelato: circa trecento anni prima una nube cosmica è entrata nel sistema e ha fatto da specchio al suo sole, aumentandone la luminosità di diecimila volte. La vista dell’equipaggio è salva grazie ai sistemi di schermatura entrati in funzione automaticamente; non così gli occhi degli antichi coloni, giunti poco prima della nube maledetta, i quali però sopravvivono alla cecità e si riproducono, generando una discendenza anch’essa cieca (o meglio, con gli occhi coperti da una membrana protettiva) ma che ha in compenso sviluppato poteri mentali e una spiccata intelligenza, oltre a un modo di vivere pacifico e armonico.

Un’operazione può rendere la vista ai due protagonisti “alieni”, un uomo e una donna, rimuovendo la membrana oculare, e la tecnologia può rimuovere anche la nube facendo tornare la luminosità solare alla normalità. Gli uomini della Star-Arrow possono ripartire verso nuove avventure dopo aver risolto i misteri del pianeta e aver riunito i suoi intelligenti abitanti al consorzio umano.

Il secondo pianeta su cui atterra la Star-Arrow, nel sistema Fernen, già visitato dalla spedizione Harius, è un vero rompicapo: settecento anni prima “non esisteva”, o meglio la spedizione aveva rivelato solo sette pianeti. Invece ce ne sono otto. Da dove viene l’ottavo pianeta? Una prima esplorazione rivela degli umanoidi ridotti a uno stato di pietosa apatia, si rinvengono inoltre varie città polverizzate, risalenti a 600, 1600 e 2700 anni prima. Un misterioso cataclisma ricorrente ogni millennio cancella la civiltà sul pianeta, costringendo gli abitanti a ripartire ogni volta da zero: perciò sono scivolati nel fatalismo e nell’apatia, da cui si risvegliano solo con l’arrivo dell’astronave terrestre. Anche questo mistero viene svelato: periodicamente il pianeta “oscilla” tra due dimensioni, due diversi piani di vibrazione degli atomi, ed ogni passaggio interdimensionale distrugge la civiltà. Una maledizione da cui vengono liberati tramite una Centrale Vibratoria. Risolta anche questa magagna la Star-Arrow riparte per il successivo mondo da visitare.

Qui si interrompe il romanzo in due parti. Per leggere quello completo ho dovuto aspettare l’invio di Pierfrancesco e scoprire così anche la sua terza parte, non meno interessante delle prime due. Si tratta di un testo revisionato rispetto a quello degli anni ‘70 (per esempio l’astronave viene ribattezzata Yggdrasill, come l’albero cosmico della mitologia norrena): l’ultima parte si svolge sul pianeta Mescarol, su cui la precedente missione aveva individuato una razza umanoide estremamente bellicosa. Secoli dopo l’equipaggio della Yggdrasill atterra in un’area vicina a quella precedentemente osservata e vi trova un clima freddo dove una popolazione del tutto apatica conduce una vita vegetativa tirando avanti con lo stretto necessario. Dove sono finite le armi e le guerre? Per svelare il mistero viene rapito, senza tanti complimenti, uno degli abitanti e studiato a bordo. L’astronave si sposta intanto nell’emisfero opposto e qui vi trova in effetti i guerrafondai descritti secoli addietro; il clima caldo risveglia i bollenti spiriti anche dell’indigeno-cavia, il quale perde il senno e fugge. Il mistero è presto chiarito: come l’ottavo pianeta del sistema Ferner (descritto da Naviglio) anche questo segue un ciclo, stavolta di dodici anni, corrispondete alle stagioni. Durante la stagione calda prende il sopravvento lo spirito guerriero, sopito durante quella fredda.

La soluzione proposta dal comandante della Yggdrasill è crudele ma pare l’unica: aspettare che i bellicosi indigeni scoprano la bomba atomica e inizino una guerra nucleare che li spaventi così tanto da rinunciare a fare ulteriori guerre, così come era successo sulla Terra dopo la famigerata Terza Guerra Mondiale, secoli prima. Solo a quel punto i terrestri avrebbero potuto aiutare gli indigeni a progredire verso un mondo più saggio e pacifico.

Unica notazione personale che posso fare a questa ultima parte: gli scienziati della Yggdrasill parlano di «intelligenza vivace» in riferimento alla parte bellicosa del cervello indigeno, mentre io parlerei piuttosto di stupidità guerrafondaia, che può avere in effetti anche una sorta di finta “intelligenza”, votata al male, ma che non ha nulla a che vedere con la vera intelligenza, sempre pacifica e votata alla costruzione e al vivere civile piuttosto che al massacro (può sembrare banale, ma nel momento storico in cui scrivo è quanto mai attuale).

Crociera tra le stelle si conclude con un interessante saggio di Franco Piccinini sui viaggi spaziali antecedenti al romanzo del nostro Jack Azimov.

Firenze, 17 settembre 2023

Bibliografia

Azimov J., I figli della galassia, Milano, Il Picchio, 1980.

AAVV., Crociera tra le stelle, Edizioni Della Vigna, 2016.


[1] Cfr. Azimov J., I figli della galassia, Milano, Il Picchio, 1980, p. 25.

[2] Nell’album Tropico del Nord del 1983.

Le parole mute. Tra sussulti e bisbiglii dell’anima

FIRENZE – Giovedì 21 settembre, alle 17, nella Sala Pistelli del Palazzo Medici Riccardi (via Cavour, 9), promossa dalla Città Metropolitana di Firenze e dall’Associazione Sguardo e Sogno, avrà luogo la presentazione del volume “Le parole mute. Tra sussulti e bisbiglii dell’anima” (ed. La Bussola) di Carmela Calcagno. Saluti introduttivi: Michele Brancale. Presenta il volume  Massimiliano Bardotti con interventi di Maria Valeria Sanfilippo e dell’autrice.